Quella leadership forte che la sinistra non ama

Perché la sinistra, di fronte al fenomeno Renzi, rimane inquieta e intimorita? Semplice: la leadership. E la questione non è solo politica ma psicologica

Quella leadership forte che la sinistra non ama

Finalmente la sinistra ha un leader. Un passaggio storico di non poco conto. Ha un leader giovane, brillante e incisivo; un leader non conformista e non impaludato nella ritualità della vecchia politica ma che dalla vecchia politica ha preso la migliore abitudine: quella di dire una cosa e fare esattamente l'opposto. Un leader spregiudicato quel tanto che basta per accoltellare alle spalle il suo amico mentre continua a dirgli «non lo farò mai». Uno di quelli che parla a braccio con la mano in tasca ma che è meglio non avere dietro. Un leader, insomma, capace di piacere alla gente che piace, alle élite, ma anche capace di parlare alla gente a cui della gente che piace non frega nulla; uno di quelli che potrebbe conquistare la mitica «casalinga di Voghera», simbolo di quell'Italia inferiore per gli intellettuali radical-chic, ma che poi è quella che fa vincere le elezioni. Insomma, un leader «gagliardo», come dicono dalle parti di Forza Italia dove di leader gagliardi sul serio se ne intendono assai. Ma allora, perché la sinistra, di fronte al fenomeno Renzi, rimane inquieta e intimorita? Cosa la spaventa tanto del leader?
Semplice: la leadership. E la questione non è solo politica ma psicologica. Dalla morte di Berlinguer la sinistra italiana non si è mai confrontata con la complessità di un leader, di un capo, di uno statista. Per trent'anni, un'intera generazione di dirigenti politici e burocrati di partito ha liquidato il suo rapporto con la storia attraverso le idee: che queste fossero infarcite di antiberlusconismo o costruite attorno alle fumose parole del Novecento (progresso, uguaglianza, solidarietà, redistribuzione, Stato) andava bene comunque, perché seguire un'idea è molto più facile che seguire un uomo. Le idee sono ecologiche, non sporcano, sono sempre stirate, anche quelle sgualcite dagli anni. Un'idea è pulita, maneggevole, comoda per ogni evenienza; la usi, la ricicli, la riadatti alle circostanze. L'idea è democratica e rassicurante perché consente a tutti di credere di saper pensare qualcosa. Le idee sono accomodabili perché aiutano a costruire la realtà non partendo da ciò che è ma da ciò che tu credi che sia; le puoi proiettare sul maxischermo della tua mente e far apparire il mondo come un posto dove tu non sei, basta che ci siano gli altri: gli ideologi sono per loro natura degli alienati. Al contrario la leadership non è ecologica, è antidemocratica e non rassicurante. Il leader sporca, si sgualcisce nel tempo che scorre sulla sua vita. Seguire un'idea è facile, seguire un leader è difficile, perché di un leader devi seguire tutto: non solo il suo potere ma anche le sue contraddizioni, le sue umane cadute, le sue difficoltà, i suoi entusiasmi e le sue sconfitte. Un leader lo devi amare, temere, odiare, rispettare; lo puoi tradire o conquistare, ma la sua parabola storica diventa inevitabilmente anche la tua, perché un leader è carne e anima; qualcosa con cui ti devi mischiare se vuoi far parte di lui. Il genio pensatore di Jean Guitton immaginava Socrate parlargli così: «Mille miliardi di idee non valgono una sola persona. È per le persone che bisogna vivere e morire».

Chi segue un leader segue un uomo e quindi può amare oltre se stesso; chi segue un'idea sa amare solo se stesso. Non sappiamo se la leadership di Renzi cambierà l'Italia; ma forse riuscirà a cambiare la sinistra, trasformandola in qualcosa di meglio dell'impersonale macchina di odio che abbiamo conosciuto in questi anni.

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