"Repubblica" inventa, l'Anm ha la coda di paglia

Il quotidiano di Ezio Mauro "avverte" il Csm: non c'è alcuna prova nell'audio choc

Roma - La Repubblica sa, sa tutto, per definizione. Sa anche cosa c'è nel cassetto dei giornalisti del Mattino, e naturalmente conosce minuto per minuto cosa si sono detti al telefono Antonio Manzo e il suo «quasi» amico Antonio Esposito, giudice della Corte di Cassazione. Conosce i nastri, la registrazione, non quei pochi minuti resi pubblici, ma quelli su cui in tanti si stanno interrogando. La conclusione, naturalmente, è che non c'è nulla da capire né da sapere. È roba inutile, che non vale due parole sui giornali. Oltretutto non è neppure facile decrittarla quella telefonata. Serve l'interprete, perché il dialogo è in napoletano stretto, un po' troppo nella variante Caccamo, e quindi serve l'interprete adatto, un Teo Teocoli o qualcuno che gli assomiglia. Fatto sta, teorizza Repubblica, che i nastri stanno bene dove stanno, nell'ombra. La trasparenza, la Glasnost, avrebbe detto Gorbaciov, non è un valore assoluto. Ci sono cose che è meglio non sapere, soprattutto di questi tempi. Tanto è vero che ancora nessuno lo ha richiesto, questo benedetto nastro. Dal Csm - garantisce Rep - non è partito nulla. Neppure in Cassazione e in via Arenula, ministero della Giustizia, si sono mossi. Non c'è a quanto pare nessuna voglia di “processare” il giudice Esposito. La teoria è che se un magistrato deposita sui giornali le motivazioni di una sentenza non c'è nulla di strano, anzi: è prassi.

In questa storia in fondo tutto è prassi. È prassi che un giudice di Cassazione lavori in una scuola privata. È prassi che non senta neppure il bisogno di spiegare perché il suo numero di telefono sia indicato come contatto per un corso universitario, come se il giudice fosse a tempo perso, e per secondo lavoro, un applicato di segreteria. Certo, mica è reato. È solo che il doppio incarico è in genere vietato se non è autorizzato. Ma è prassi che ormai Antonio Esposito sia intoccabile per meriti acquisiti. Quando a Rep le cose non tornano come dovrebbero c'è sempre una prassi che giustifica tutto. Il principio morale di Repubblica è che è giusto tutto ciò che per Repubblica è giusto. Sono platonici nel nome e aristotelici nel dogma. Beati loro.

Ieri, poi, si è svegliata anche l'Associazione nazionale magistrati. È bastato pronunciare la parola Magistratura democratica. Fino a quando si parla di Esposito passi, ma se poi si tocca un pezzo di categoria parte l'anatema: quel giornale bestemmia.

In una nota firmata dal presidente Rodolfo Sabelli, dal vicepresidente Valerio Savio e dal segretario generale Maurizio Carbone, l'Anm «denuncia la sistematica pubblicazione su alcuni quotidiani nazionali di articoli che, nel commentare l'esito della sentenza Mediaset, contengono in realtà gravi offese anche personali rivolte a singoli magistrati o a intere componenti della magistratura associata». Non vale più il diritto di critica perché, secondo loro, queste sono offese alla giurisdizione. L'accusa è di delegittimare il lavoro di tutti i magistrati. Non serve. Ci pensa già la prassi.

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