Napolitano come la Rai: tagliate tutti ma non me

Donato Marra ci ha confermato la contrarietà di Napolitano a "nuovi oneri" per il Colle e la Corte costituzionale: "Invece gli oneri per Camera e Senato sono ridotti"

Napolitano come la Rai: tagliate tutti ma non me

Egregio Segretario Generale,

la ringrazio della lettera. E non per contraddirla, ma mi pare che il contenuto sia una conferma di quanto da noi scritto basandoci su fonti giornalistiche. E cioè che il presidente della Repubblica si sta muovendo per evitare tagli ritenuti eccessivi ai costi del Quirinale. Anzi, dalla sua apprendiamo che il Colle sta intercedendo anche per limitare limature al budget della Corte costituzionale. Se risparmio deve essere, mi sembra di capire che Napolitano abbia suggerito - nella memoria inviata al Parlamento - di calcare la mano sui tagli di Camera e Senato.

Evidentemente, quando si parla di risparmi, il Quirinale si comporta un po' come tutti: li invoca (tanto è gratis) a patto che siano sulla pelle degli altri. Rigore e sobrietà: quante volte abbiamo sentito uscire queste parole dalla bocca del nostro presidente per giustificare la macelleria sociale messa in atto dai suoi governi preferiti, quelli di Monti prima e Letta poi. Strano che ora, che non la mannaia ma un tronchesino sta per potare le due istituzioni più costose d'Italia, si lanci l'allarme.

Partiamo dalla Corte costituzionale. Ci costa 64 milioni. Siamo sicuri che se ne mancassero una manciata la Costituzione sarebbe in pericolo? Vediamo. Il suo presidente guadagna 558mila euro l'anno, il suo omologo inglese 217, il presidente della Suprema corte americana un terzo, 166mila. Ogni consigliere percepisce 465mila euro, tre volte tanto i colleghi degli Stati Uniti. Ognuno di loro (parlo degli italiani, ovviamente) ha un'auto blu a disposizione con due autisti 24 ore su 24. Hanno gratis biglietti aerei e ferroviari, telefono di casa, telefonino e computer.

Io penso che leggendo queste cifre si capisca non solo che una «limata» non può essere letale per la libertà, ma che si tratta di un colossale sperpero di soldi pubblici, legale sì ma moralmente non molto diverso dai casi di malaffare che riempiono le cronache di questi giorni.

E veniamo al Quirinale. È noto che si tratta del l'istituzione più spendacciona al mondo, almeno per quanto riguarda le democrazie e le monarchie occidentali. Il personale complessivo è di circa 2.000 dipendenti. Oltre cento sono collaboratori della presidenza, mille i militari (corazzieri, addetti alla polizia e alla sicurezza). La regina Elisabetta II d'Inghilterra dispone di 300 dipendenti, il re di Spagna di 543, il presidente Usa di 466. Per mantenere questo esercito personale, il capo dello Stato fa spendere ai suoi sudditi, cioè a noi, 230 milioni l'anno, una cifra doppia di quella che Obama mette sul conto degli americani.

Ora, capiamo che il Quirinale è un monumento nazionale, ma assomiglia tanto alla Rai e ai suoi sindacati teorici del «tagliate tutto, ma non me».

Da qualunque punto si veda questa storia i conti non tornano. E volere farli tornare opponendosi per iscritto a tagli nemmeno severi ma diciamo appena decenti vuole dire non essere collegati con il Paese e i suoi drammi che, a occhio, sono ben lungi dall'essere risolti.

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