«Scissione? Ma per carità. Fa freddo, meglio stare uniti che ci si scalda...» scherza Gianni Cuperlo, presidente del Pd e referente dei non-renziani ex Ds dentro il partito. Il fantasma della scissione Pd compare, svanisce e ritorna ad intervalli periodici, da quando Renzi ha messo in crisi la vecchia «ditta», fino alla scalata finale. Dopo le dimissioni di Stefano Fassina, umiliato dall'ironia del nuovo segretario, ecco che riappare.
Dietro lo strappo del viceministro (area «Giovani turchi» bersaniani) il Corriere della Sera accredita - attribuendo il virgolettato allo stesso Renzi - «un disegno dei bersaniani di farsi un proprio partito». I diretti interessati negano, e anzi accreditano un'interpretazione opposta. Sarebbero i renziani a sponsorizzare la tesi della scissione a sinistra, per isolare così l'opposizione interna nella speranza che si stacchi sua sponte, senza bisogno di epurazioni. «Non sta né in cielo né in terra - reagisce Antonio Misiani, ex tesoriere Pd bersaniano - non si è mai pensato ad una scissione». Il progetto, assicurano, non c'è, perché lo spazio politico fuori dal Pd non c'è (com'era, a parti invertite, per lo stesso Renzi quando era lui in minoranza).
Ma l'idea gira, la scissione psicologica è già in atto. Tempo fa fu Massimo Cacciari a sostenerla: «Se Renzi farà il Renzi, la scissione sarà inevitabile. Perché lui è radicalmente alternativo alla tradizione ex comunista, che però nella struttura del Pd è dominante. Col cavolo che accetteranno di delegare tutto a un renziano qualsiasi!». Per ora la «ditta» sta subendo tutto - umiliazioni, spostamento delle riunioni dalle sedi di partito ai comitati di Renzi, siluramento di dirigenti vari - ma per quanto? «Al momento il rischio scissione non c'è, ma certamente c'è un problema che il Pd deve chiarire - spiega Giorgio Merlo, deputato area catto-dem - È indubbio che in un partito che investe plebiscitariamente il suo leader, com'è successo per Renzi alle primarie, si instaura una gestione plebiscitaria del partito. E nei partiti plebiscitari il dissenso politico non è molto tollerato. Questo rischio c'è». Quella «gestione padronale» che, non a caso, Fassina rinfacciava al segretario sbattendo la porta del ministero.
Un partito (o meglio, partitino?) di nostalgici del vecchio corso, fuori dal Pd «renzizzato»? Per ora sarebbe un suicidio politico. E neppure la soluzione a cui pensa il segretario. Che semmai punta all'autoesilio degli sgraditi, com'è accaduto per l'arcinemico Massimo D'Alema, che si è fatto da parte senza essere cacciato via. Le forze centrifughe però agiscono sulle radici del Pd. Non solo da sinistra, ma anche dall'ala dei cattolici, capitanata da un altro renzo-scettico come l'ex ministro Beppe Fioroni.
Quando il Pd, in primis Renzi («non c'è alternativa»), ha annunciato la prossima adesione del partito nel Pse, il Partito socialista europeo, il cattolico Fioroni è andato su tutte le furie: «Così viene meno l'atto fondativo del Pd (che escludeva l'adesione al Pse), e lo scioglimento della Margherita è annullato di fatto». Quindi, da una parte tornano i Ds coi bersaniani delusi che escono dal Pd, dall'altra la Margherita, coi cattolici che fanno la scissione per non finire insieme ai socialisti europei? Al telefono Fioroni è più diplomatico: «Renzi è troppo intelligente per non capire che iscrivere il Pd alla vecchia famiglia del Pse creerebbe una grave frattura politica dentro il partito». Preambolo ad una scissione dei cattolici, già ridimensionati a partire dalla Bindi? Chissà.
La Margherita, ancora viva, qualche soldo ce l'ha da parte. E i «bersaniani»? «I soldi potrebbero esserci, ce li ha Sposetti...» dicono i renziani.
Il tesoriere Ds non vuole rispondere: «No comment». In realtà i Ds hanno pochi soldi (più debiti che altro), ma una montagna di immobili (più di 2mila) custoditi da 60 fondazioni. Spazio fuori dal Pd forse non c'è. Ma una casa, quella sì.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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