Perché Tim Geithner ha deciso di parlare? Perché ha deciso di dare il suo contributo alla tesi del complotto anti Berlusconi? La domanda, irresistibile per chi applica anche al di fuori dei confini nazionali le categorie machiavelliche della politica italiana, è di quelle destinate a non trovare un risposta certa. Una cosa è però sicura: l'ex segretario al Tesoro Usa avrebbe tenuto per sé i ricordi sulla vicenda se non avesse voluto dare fiato al malessere crescente che l'establishment Usa cova nei confronti della Germania e del suo ruolo in Europa.
In occasione della visita di Angela Merkel alla Casa Bianca, nei primi giorni di maggio, a dare il via a stizzite polemiche sui giornali è stato John McCain, ex candidato repubblicano alla presidenza: «La leadership tedesca è imbarazzante. Fa quello che gli industriali del suo Paese le ordinano». Questa volta la pietra dello scandalo era l'atteggiamento tedesco nei confronti della Russia di Putin, secondo gli americani remissivo e attendista oltre ogni possibilità di comprensione. Nel recente passato ad avvelenare i rapporti sono stati il caso Snowden (per lui si era parlato anche di un asilo politico in Germania) e la vicenda del telefono della Merkel intercettato dalla Nsa, che ha reso furibondi i tedeschi e imbarazzato gli americani.
Su Geithner hanno pesato sicuramente di più le tensioni e la frustrazione degli anni trascorsi a fianco di Obama a cercare di convincere la riottosa Cancelliera a salvare l'Europa e l'economia internazionale dal default. Nel libro dell'ex ministro si parla genericamente di european officials desiderosi di far fuori il premier italiano. Ma di dubbi su chi comanda a livello europeo gli americani non ne hanno: «Per Washington l'Unione Europea non esiste più, c'è solo la Germania», ha detto qualche tempo fa John Kornblum, ex ambasciatore Usa a Berlino. Il problema è che, secondo Obama e i suoi, gli egemoni tedeschi non sono stati all'altezza del compito.
Nel 2008, nel pieno della crisi Usa, l'allora segretario al Tesoro Usa Henry Paulson aveva convocato a Washington i vertici dei primi nove istituti finanziari americani. Dettando le sue condizioni li aveva rifinanziati evitando l'infarto del sistema creditizio. Allo stesso tempo la Federal Reserve aveva pompato dollari come se piovesse nel sistema economico. La doppia manovra alla fine ha funzionato. E alla Merkel il presidente Usa ha da subito consigliato la stessa strada. Per dirla in lingua originale: «American-style bailout and fiscal stimulus», stimoli fiscali e aiuti all'americana.
Nel 2011 e 2012 il salvataggio dell'euro e dell'economia globale era diventato una priorità assoluta anche per Obama, impegnato nella campagna per la rielezione. Per evitare che la Grecia fosse abbandonata al suo destino era dovuto intervenire personalmente con una telefonata in extremis alla Cancelliera. E i retroscena sul salvataggio dell'euro pubblicati negli ultimi mesi raccontano di molti piani di salvataggio su cui gli americani avevano lavorato insieme ad altri partner europei, da Nicolas Sarkozy a Mario Monti. Tutti fatti regolarmente saltare dall'indisponibilità tedesca. L'immagine più forte è quella della Merkel in lacrime al vertice di Cannes, mentre diceva di no all'ennesima proposta franco-americana: «Non posso suicidarmi, non posso andare contro la Bundesbank».
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