Distrutta dapprima dai Longobardi, poi dai Saraceni, quindi da un terremoto e infine da un bombardamento inglese il 15 febbraio 1944 e sempre ricostruita «dov'era e com'era», l'abbazia di Montecassino vede le sue fondamenta tremare di nuovo. Ma stavolta a rischiare la devastazione non è lo splendido edificio in stile barocco napoletano che appollaiato da una collina alta poco più di 500 metri domina Cassino e il basso Lazio, ma una delle sue più preziose tradizioni: l'elezione interna dell'abate, sulla quale il Vaticano non mette bocca. Un privilegio messo ora a repentaglio.
L'atmosfera è quella nebulosa di un romanzo alla Dan Brown, un po' di sacro, un po' di profano e molto mistero. In realtà si tratta di un pezzo di storia che si salda con la cronaca: quella che qualche giorni fa ha registrato le dimissioni da abate di Don Pietro Vigorelli, che malgrado la giovane età, 51 anni, ha problemi di salute molto seri (un anno fa fu colpito da un ictus con conseguenze neurologiche) che in questo momento lo preoccupano molto di più del suo governo apostolico. Ispirato e perfino incoraggiato dal gesto di papa Josef Ratzinger, che ha lasciato il soglio pontificale quattro mesi fa, don Pietro - dopo che le voci di un suo abbandono si erano rincorse sulla stampa locale originando smentite di circostanza - ha scritto una lettera a papa Francesco, spiegando il perché della sua scelta. E il pontefice argentino ha preso atto.
Ora l'abbazia passa temporaneamente nelle mani di don Augusto Ricci, priore del Sacro Speco di Subiaco, che da amministratore apostolico gestirà il passaggio di consegne nelle mani del nuovo abate, il 192° successore di San Benedetto, fondatore del monastero e della Regola che scandisce la vita dei monaci all'insegna del proverbiale ora et labora, che verrà eletto dall'assemblea dei monaci della comunità secondo una procedura piuttosto complessa. O meglio, dovrebbe essere eletto. Perché a Montecassino girano strane voci. E anche in Vaticano. Si teme che qualcosa possa cambiare a Montecassino: il nuovo abate potrebbe stavolta essere nominato da Roma, rompendo un'autonomia più che millenaria.
Uno shock. Secondo la procedura prevista dalle Costituzioni Cassinesi, l'abate è infatti da sempre scelto dall'assemblea capitolare dei monaci della comunità presieduta dall'abate presidente della Congregazione, il quale a elezione effettuata trasmette personalmente il nome dell'eletto alla congregazione per i vescovi in Vaticano. A quel punto Roma «ratifica» la scelta del parlamentino degli abati, consegnando all'eletto la croce pettorale simbolo della dignità abbaziale e chiedendo in cambio solo che, per salvare la faccia, nel frattempo nulla trapeli al di fuori delle mura di Montecassino.
La carica di abate di Montecassino non è di trascurabile importanza. Anzi, vanta dei privilegi che fanno gola: l'abate, oltre a essere il padre della comunità monastica, è anche ordinario della Diocesi e quindi governa con piena giurisdizione canonica un territorio ben preciso che comprende alcuni comuni limitrofi ma anche la Terra Sancti Benedicti, che raccoglie tutti i luoghi entrati in possesso del monastero e per ciò stesso sottratti alla giurisdizione ecclesiastica del locale vescovo: è per questo motivo che tuttora i benedettini del monastero laziale amministrano l'abbazia di San Vincenzo al Volturno in Molise, quella di San Liberatore alla Maiella in Abruzzo e la chiesa di Santa Maria dell'Isola a Tropea, sul litorale calabrese. Insomma, quella cassinate è un'abbazia ricca, peraltro ben foraggiata dalle tante donazioni annuali.
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