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La Russa riapre il dialogo tra Pdl e Lega

L'ex An disponibile a fare da mediatore col Carroccio. Il 2 gennaio l'incontro decisivo con Maroni

La Russa riapre il dialogo tra Pdl e Lega

C'è tensione in casa Pdl dopo l'incontro di via Rovani a Milano perché il summit con la Lega è andato male. Ma i canali restano aperti e ora spunta la carta La Russa. L'ex ministro della Difesa, che ieri ha avuto un lungo colloquio telefonico con Maroni, si propone come mediatore. Sarà lui a cercare di riannodare i fili di una trattativa che sembra compromessa. «Ho strappato l'impegno all'amico Bobo di vederci il 2 di gennaio per trovare la quadra. E nelle stesse ore parlerò con Silvio». Il leader di Fratelli d'Italia giura che ce la metterà tutta per favorire l'accordo e al Giornale snocciola le possibili soluzioni al rebus: «Sulla questione della premiership ricordo che un problema simile si ebbe nel 2001, quando Casini e Fini in qualche modo contestarono il ruolo di Berlusconi - rievoca La Russa - Allora trovammo la soluzione proponendo l'attacco a tre punte. Potrebbe essere la chiave utile anche questa volta». Restano aperti i problemi prettamente politici, con il paletto leghista del 75% di tasse da tenere al Nord e la bandiera della macroregione. La Russa non si fascia la testa prima di essersela rotta: «In una trattativa non è mai capitato che i punti delle rispettive parti venissero accolte in toto. Non si tratta di cedere ma di trovare una mediazione e arrivare a un programma ragionevole sulle cose comuni. Non mi piace la parola “agenda” ma un “patto” si può ragionevolmente sottoscrivere».
Insomma, l'ex coordinatore del Pdl sembra fare il paio con il suo ex collega Verdini che resta discretamente ottimista. Perfino Alfano, solitamente malleabile e tradizionalmente l'uomo che nella trattativa ha sempre vestito i panni del mediatore, l'altra sera in via Rovani aveva più volte scosso la testa. Troppe le richieste arrivate dai leghisti per chiudere un patto che - continua a ripetere Berlusconi - «in fondo conviene anche a loro».
Il Carroccio ha alzato l'asticella e buttato sul tavolo i suoi desiderata, molti dei quali difficili da ingoiare. Ma ieri anche Calderoli ha lasciato intravedere uno spiraglio: «Una via d'uscita si può trovare - ha detto ai microfoni di Tgcom24 - Anche se noi chiediamo che il 75% delle tasse rimanga sul territorio e su questo ci siamo arenati». E ancora: «Chiediamo la creazione di una macroregione con gli stessi diritti di una Regione a Statuto speciale. Prima si discute di Lombardia e poi di tutto il resto». Pugno duro, insomma. Il Carroccio, tuttavia, sa bene che se andasse a monte l'alleanza a cadere sarebbero anche le giunte di Piemonte e Lombardia. Non solo: un patto per le politiche e un'eventuale vittoria di Berlusconi più Lega in Lombardia e Veneto, porterebbe in dote quel premio di maggioranza al Senato che impedirebbe alla sinistra una tranquilla maggioranza in Parlamento.
Il gol di Maroni resta però il Pirellone. «Mi sono candidato a governatore della Lombardia - ha twittato ieri - perché ci credo davvero. La Lombardia in testa. Roma viene dopo». Già, la Lombardia. Se l'accordo dovesse sfumare Berlusconi ragiona a un piano B. Che, tuttavia, è ricco di insidie. I rapporti con Albertini sono ormai compromessi e difficilmente il Pdl potrebbe sostenerlo. Meglio puntare su un altro candidato forte: l'ex ministro Mariastella Gelmini.

La quale ha seguito in Lombardia ma sarebbe un ennesimo candidato che spezzetta l'elettorato moderato. Senza contare, svela La Russa al Giornale «che se ognuno piazza il proprio candidato di bandiera, per Fratelli d'Italia sarà Viviana Beccalossi».

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