Roma Solo nell’ultima settimana sono almeno cinque i casi di violenze gravi ai danni di donne finiti sui giornali. Da Vanessa Scialfa, la ventenne di Enna strangolata dal fidanzato e buttata da un viadotto, allo stupro subito il 27 aprile da una donna di 32 anni sul treno Milano-Lodi. E poi la mamma che a Milano, dopo aver accompagnato i figli a scuola, è stata aggredita in un parco della Comasina. La trentanovenne di Salerno sequestrata e violentata dall’algerino che non accettava di vedersi abbandonato da lei. La ventunenne toscana sfuggita per un soffio alla violenza da parte di tre uomini fuori da una discoteca di Voghera. Ed è di ieri il caso della donna di 67 anni accoltellata per motivi oscuri nell’androne del suo palazzo in via Depretis, episodio che ha fatto salire a dieci le violenze denunciate negli ultimi cinque giorni da donne nel solo capoluogo lombardo. Una raffica impressionante, che spinge Daniela Santanchè, esponente del Pdl che da anni si occupa del tema, a invocare leggi speciali. «Ci vuole un 41-bis per i reati contro le donne».
Addirittura?
«Sì, bisogna trasformare la legge sullo stalking, che è benedetta ma ha i suoi limiti, da ordinaria in speciale. In questo modo si potrebbero sospendere le garanzie per quanti si sono resi protagonisti di violenza sulle donne fino a sentenza definitiva. Perché non bisogna agire quando il danno è stato fatto. Bisogna agire sul nascere di quella escalation che parte da una sberla o addirittura solo da un’intimidazione e sfocia in un omicidio».
Perdoni, però non sempre dalla sberla si arriva all’omicidio.
«Questo è vero, però sempre l’omicidio parte da una sberla. I raptus omicidi improvvisi nei confronti della propria moglie, della propria compagna quasi non esistono, sono solo delle eccezioni statistiche. I presupposti dei gravi motivi di pericolo per la donna in genere sono chiari. E se uno viene messo in galera ai primi segnali, invece di attendere tutta la trafila della denuncia, dell’ammonizione, dell’allontanamento dai luoghi eccetera, si interromperebbe la catena della violenza sul nascere. Invece da noi la Cassazione ha addirittura sentenziato la non necessità del carcere preventivo per chi è accusato di stupro di gruppo. I tempi di dissuasione sono troppo lunghi rispetto a quelli in cui matura il crescere esponenziale della violenza».
Però ci vogliono tempi rapidi e certi per la giustizia.
«Certo, se c’è qualcuno in carcerazione preventiva non possiamo aspettare sei o sette anni per una sentenza definitiva».
Non basta inasprire le pene?
«No, quelle le abbiamo già aumentate, ma le pene agiscono quando il danno è stato già fatto. Noi vorremmo scongiurarlo».
Per questo è anche necessario che le donne abbiano il coraggio di denunciare le prime violenze. Mica facile.
«Certo, ma le donne devono capire che se prendono una sberla e stanno zitte, poi ne prenderanno quattro e staranno ancora zitte».
E come farglielo capire?
«Facendo loro sentire che ci occupiamo li loro, che non sono sole e abbandonate. Che è stupido avere la sindrome della crocerossina. Che una sberla non è mai un gesto d’amore. Che gli uomini violenti non si possono cambiare. Vede, la nostra è ancora una società che soffre di un retaggio culturale intimamente maschilista, per cui si pensa che la donna che subisce violenza se l’è sempre andata un po’ a cercare. Qual è la prima domanda che ci si fa quando si viene a sapere di uno stupro?».
Ecco, qual è?
«Ma lei com’era vestita?».
D’accordo, ma non c’è il rischio di passare da un eccesso all’altro?
«Certo, non vogliamo diventare come gli Usa, dove si va in galera per aver toccato il culo ha una donna. Ma il corrispondente del Daspo nello sport è necessario».
Roberto Saviano ha aderito all’appello di Senonoraquando: parla di femminicidio...
«Mi sembra di essere strumentalizzata. Chi parla di violenza oggi che cosa ha fatto ieri? Dov’era Saviano? Come ha aiutato le donne che hanno subito violenza? Non credo nella generosità».
Che cosa intende dire?
«Ho il sospetto che Saviano cerchi pubblicità per il lancio del suo nuovo programma».
Un’accusa forte.
«E allora mettiamola così: se Saviano vuole davvero il bene delle donne vittime di violenza, devolva il suo cachet televisivo a un’associazione che si occupa di loro, apra una casa delle donne vittime di violenza con figli a carico. Se lo farà, crederò alla sua buona volontà e metterò anche io i miei soldi. Altrimenti, sono solo parole».
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