In molti sostengono che Berlusconi sta pensando ai processi e al suo partito. Secondo me no. Sta pensando all'euro e, in subordine, alla lira. E comunque me lo auguro. La caratteristica specifica che fa di una leadership politica una cosa seria è una sola: pensare il futuro del proprio Paese nel mondo, fronteggiare le crisi, cercare le risposte. Se ti occupi del gruppo dirigente della tua organizzazione, se consideri prioritario il problema dell'identità di parte, perdi il contatto con la realtà. È successo clamorosamente al Partito democratico, che ha trionfalisticamente costruito la sua ipotesi di leadership su un discorso interno fin troppo pieno (primarie, serietà e buonsensismo del capo, solidarietà interna, regole) e un discorso esterno, appunto il Paese e il mondo, quasi completamente vuoto. I risultati si conoscono.
Il carisma di Berlusconi è notoriamente quello di un uomo non solo allegro, non solo ottimista, non solo spavaldo e spregiudicato, nel bene e nel male, ma anche e soprattutto quello di un uomo che si è fatto ricco nel privato, creando un immenso mercato che prima non c'era, la pubblicità commerciale e i palinsesti televisivi relativi; rompendo a gomitate un monopolio di Stato e difendendo con le unghie e con i denti il prodotto del lavoro suo e della sua squadra di manager, a Milano come a Roma, nella concorrenza privata come nella vita pubblica; per fare queste cose ha fatto sognare milioni di italiani, molti dei quali sono ancora incantati dalla sua entrata in politica, sono disposti a votarlo a ogni costo e per qualsiasi ragione, insomma lo seguono e aspettano da lui e dai suoi la risposta risolutiva a quel che li angoscia, cioè la crisi economica e finanziaria dalla quale sembra così difficile uscire per l'Italia.
Per un tipo così processi e partito non sono la priorità. Sono cose importanti, beninteso, ma politicamente e realisticamente subordinate alla sfida vera del discorso pubblico: che fare per riemergere dal mare di guai in cui ci hanno portato la scarsa produttività della nostra economia reale e un capitalismo che resta asfittico, pieno di risorse ma senza una classe dirigente generale, e un movimento sindacale che non è mai riuscito a rompere la regola del vecchio corporativismo nemico dell'innovazione, dei giovani, del futuro. Lo Stato ha i suoi gravi e secolari difetti, ma non sono i governi in quanto tali, o la pubblica amministrazione, i soggetti di un possibile riscatto, anche se tendiamo a pensare che tutto dipenda da loro. L'Europa e la zona euro sono oggi il problema, e Berlusconi mostra di essersene convinto, anche al di là del «braccio di ferro» che ha chiesto a un governo muscolarmente debole sebbene pieno di buone intenzioni.
Così, mentre il Pd cerca di nuovo di risolvere un problema interno, il caso di Matteo Renzi e della antica nomenclatura, il Cav guarda i sondaggi, capisce che la maggioranza assoluta degli italiani non si fida dei modi in cui le classi dirigenti hanno impostato l'economia della moneta unica, non vuole correre inutili e controproducenti avventure, ma in pari tempo si domanda se per risollevarsi non sia necessario un ripensamento strategico all'altezza dei casini che percorrono economia e società italiana.
Tornare unilateralmente alla lira sarebbe un suicidio, non lo hanno fatto nemmeno i greci con la dracma, e sarebbe stata una scorciatoia per quanto illusoria. Ma mettere in discussione l'euro, i patti che lo hanno fatto nascere, le regole che ne fanno un cappio per certe economie, per certi sistemi di produzione e consumo, questo è il tipico ragionamento non ortodosso, da outsider, che un leader come Berlusconi ha in mente, e sul quale sta lavorando studiando e consigliandosi con gli imprenditori ed economisti di cui si fida.
Berlusconi è un tipo che non si è mai fatto ricattare dall'ortodossia e dalla corrente convenzionale del pensiero unico. In questo è perfino esagerato, basti pensare alla surreale trovata di perorare la restituzione dell'Imu, una tassa per la quale obiettivamente basta e avanza una sospensione oggi e una ristrutturazione intelligente domani, qualunque sia l'opinione autorevole del Fondo monetario internazionale. La sola idea che sia proibito per dogma ideologico agire liberamente per un'Europa compatibile non con il nostro debito pubblico, al quale dobbiamo provvedere con tenacia, non con i nostri problemi strutturali, che hanno bisogno di riforme, ma con il futuro della nostra economia e del nostro sistema finanziario, questa sola idea induce un leader come lui e il suo blocco sociale, con gli interessi rappresentati, a esaminare in ogni dettaglio l'ipotesi di uno strappo, che poi è la versione realistica del braccio di ferro.
Mario Draghi, i tedeschi più accorti e meno arcigni nel perseguimento dei loro interessi nazionali a scapito della coesione europea, e gran parte delle classi dirigenti, perfino una parte della sinistra in molti Paesi dell'area euro, lo hanno capito benissimo. Non è questione di aspettare il risultato delle elezioni in Germania, magari per vedersi concessa una qualche deroga, non è quello il problema. Ci vuole una nuova convenzione, un nuovo patto costituente dell'Europa unita che corregga aspetti fondamentali della recente storia dell'euro, al di là dei moralismi e dei sensi di colpa o delle paure ataviche che percorrono l'Europa e rincorrono tendenze inveterate all'egemonismo.
Un sistema monetario più flessibile per una casa comune in cui non ci si senta prigionieri: a questo, tenendo in gran dispetto i richiami all'ordine dei soliti conformisti, e preoccupandosi delle angosce degli italiani e della necessità di darsi da fare per trovare una soluzione strategica valida per tutti gli europei, sta lavorando, senza colpi di testa, Silvio Berlusconi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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