Per la scuola è la cenerentola delle materie

La geografia è sempre stata nelle scuole una disciplina umanistica cenerentola rispetto, per esempio, alla sorella Storia

Per la scuola è la cenerentola delle materie

Tutto il mondo è paese. D'accordo, ma quali sono i Paesi? Mettiamoci una mano sulla coscienza: se avessimo di fronte a noi quelle cartine geografiche mute, oggi in via di sparizione dalle scuole per non spaventare i ragazzi, saremmo capaci di collocare al posto giusto gli Stati d'Europa? Nessuna incertezza nel situare Francia, Spagna, Inghilterra, Germania; ma se ci venisse chiesto di precisare dove sono gli Stati che si sono formati dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica? Arzebaigian, Kazakistan, Moldavia? E per non fare troppo i difficili, dove si trovano le nazioni della ex Jugoslavia, come Montenegro, Bosnia Erzegovina? Ho l'impressione, soltanto l'impressione, che un americano faccia meno errori nel sistemare sulla cartina geografica muta i Paesi degli Stati Uniti. D'altra parte, la geografia è sempre stata nelle scuole una disciplina umanistica cenerentola rispetto, per esempio, alla sorella Storia. Il nozionismo della geografia è meno opprimente di quello della Storia; durante un esame si può argomentare con più disinvoltura sulle caratteristiche di una regione mentre è molto più complicato discutere delle vicende di un determinato periodo storico, e l'errore sui confini di un territorio appare meno grave della dimenticanza della data di una battaglia decisiva. Ma a questa serena ignoranza di base, che ci segue fin dai primi anni di scuola (e poi, la geografia al liceo chi la studia?) si aggiungono uno stato psicologico, un sentimento molto attuali. Viviamo nel tempo della globalizzazione, il mondo è diventato un grande Occidente senza confini. Di ciò ci si può rallegrare oppure riconoscervi tutto il male possibile e immaginabile, ma la realtà ci mette di fronte a una certezza: nella percezione della gente, le Nazioni sfumano sempre più i propri confini, al punto che appare inutile conoscerli con precisione. Attraversiamo i Paesi europei senza che nessuno ci fermi, e auspichiamo che questa stessa semplificazione dei nostri viaggi possa essere estesa il più possibile. Le differenze culturali tra le diverse Nazioni sono sempre meno marcate, e la lingua inglese sta diventando il modo più comune per comunicare. Questo contribuisce a giustificarci di fronte all'ignoranza di non conoscere le basi fondamentali della geografia politica e ci appare del tutto plausibile considerare anacronistiche quelle divisioni nazionali, a cui fino a poco tempo fa sì delegavano le caratteristiche della nostra identità. Con un atteggiamento ottimistico possiamo anche considerarci eredi di quel cosmopolitismo umanistico che almeno per un paio di secoli, tra il 1500 e il 1700, tra Erasmo e Goethe, aveva condizionato la cultura europea, quando i confini tra gli Stati apparivano degli ostacoli per lo scambio culturale, quando il viaggio era una grande esperienza di civiltà per la sua capacità di cancellare differenze imposte dal potere politico. Con un atteggiamento realistico, invece, dobbiamo ammettere l'ignoranza delle conoscenze essenziali della geografia che, tuttavia non cambiano affatto il nostro modo di vivere. È come se oggi avessimo incastrato nel cervello il navigatore delle automobili: se dobbiamo andare da qualche parte, vicino o lontano, impostiamo il navigatore e lo seguiamo fedelmente.

Certo, Erasmo e Goethe la sapevano lunga e non avevano bisogno del navigatore: se noi, almeno per i nostri viaggi, si potesse disporre di qualche nozione sui confini che attraversiamo, non sarebbe male, pur con tutto l'ottimismo verso l'ignoranza della geografia, non si può negare il significato di una superba sentenza veneziana: «Viasar descanta (viaggiare sveglia la mente), ma chi parte mona, torna mona».

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