Se l'arte si colora di nero: maxi evasione nelle gallerie

Setacciati atelier e case d’asta: scovate irregolarità in tutta Italia. Artisti col conto in banca pieno ma sconosciuti all’erario. E mercanti che dribblano il fisco col trucco dell’opera "restituita"

Se l'arte si colora di nero: maxi evasione nelle gallerie

Non è il blu Klein, il giallo Van Gogh e nemmeno il rosso brillante dei Concetti Spaziali di Fontana. Il colore dell'arte sembra essere il nero e a dirlo non sono i critici bensì i finanzieri. Ieri a Roma e Padova sigilli per una casa d'aste in via del Babuino e un'importante galleria: motivo scatenante il mancato pagamento del diritto di seguito, norma su cui una volta si era disposti a «chiudere un occhio», oggi non più. Contestate violazioni alla Siae per oltre 2 milioni e non solo, l'omessa segnalazione di transazioni superiori ai 1.000 euro in contanti per circa 3 milioni, nonché di operazioni sospette intorno ai 14 milioni. Un ulteriore ramo d'inchiesta, partito diversi mesi fa, sta accertando le anomalie, incrociando i profili fiscali di gallerie e case d'asta da una parte e redditi di clienti incongrui rispetto alle spese per quadri e sculture.

L'ennesimo terremoto che scuote il sistema dell'arte in Italia, dopo il recente caso del pittore siciliano Piero Guccione «pizzicato» a movimentare 700mila euro annui di fronte a un reddito dichiarato di 30mila, parte dunque dal famigerato diritto di seguito. Si tratta in sintesi di una percentuale, variabile dal 4 allo 0,25, a seconda del prezzo dell'opera, che l'autore riceve a ogni passaggio di mano del lavoro stesso, pezzo singolo o multiplo. Il pagamento alla Siae è a carico di gallerie, case d'asta e commercianti, e dura per settant'anni, ma lo stesso venditore può esigerne la somma dal nuovo acquirente.

Non da ieri il mondo dell'arte in Italia si regge in buona parte sul nero e le colpe sono da dividere tra tutti gli attori. Il collezionista è abituato a esigere lo sconto almeno del 20%; non potendo in alcun modo «scaricare» l'acquisto, storce il naso di fronte all'applicazione dell'Iva e rifiuta categoricamente di corrispondere diritto di seguito, che non è affar suo. Per non tenere in carico ufficiale opere nel magazzino, a lungo le gallerie meno professionali e i loro artisti si sono messi d'accordo per restituire tutte le opere all'autore che poi le rivendeva privatamente per contanti riconoscendo successivamente la mediazione. Oggi è tutto più difficile: biglietti ne girano pochi, i controlli sono più serrati e le gallerie che partecipano alle fiere devono avere un'economia trasparente pena l'esclusione. Tuttavia le incongruenze tra i tenori di vita dichiarati e quelli reali balzano all'occhio, e persiste la categoria di artisti benestanti mascherati da finti-poveri, soggetti fiscali inesistenti. Ai collezionisti, inoltre, piace molto comprare direttamente in studio, con trattamento di favore, ovviamente senza ricevuta, abitudine che penalizza i galleristi soffocati da costi e tasse. Se lo fai all'estero sei fuori e nessuno è più disposto a venderti un'opera, mentre in Italia la parte del furbetto (anche ad altissimo livello tra insospettabili) mantiene sempre il suo sottile fascino.

Galleristi e mercanti sostengono che comprare e vendere arte oggi in Italia è diventato sconveniente se non addirittura impossibile per la pressione fiscale che si aggiunge ai costi di gestione. A lungo si è parlato abbassare l'Iva o di avviare il processo di defiscalizzazione, ma è proprio la gran quantità di sommerso a impedire che il nostro mercato assuma una dimensione più chiara. All'estero il sistema è più trasparente e, soprattutto, non sopravvive il modello della tipica galleria italiana «a gestione familiare», improvvisata e pasticciona, senza struttura professionale, che spera sempre che tutto vada bene e al limite paga una multa. Entrare in un'art gallery di Londra o New York dà quell'impressione di algida rigidità da azienda di lusso; in Italia, invece, ogni cliente ha il «suo» prezzo, e per la brama di vendere si sorvola su norme e regole, si cercano escamotage, si favorisce quel secondo mercato di courtier e mediatori che spesso rimettono in circolo opere transitate attraverso più mani. A parziale scusante delle gallerie, soprattutto le piccole o quelle camuffate da associazioni, è la tenaglia fiscale in cui si trovano ad agire: unica possibilità far girare il denaro cercando in qualche modo di far quadrare i conti. Alla lunga è difficile però resistere.

«Sono cose brutte, che fanno male al mercato - ci ha dichiarato un operatore del settore - un mercato ormai pressoché immobile dove si ha paura di muovere

denaro per il terrore di un immediato controllo». Un quadro (metaforico) che riflette la situazione drammatica dell'intero Paese. Si pensava che l'arte fosse un'isola felice e senza regole, ma la tempesta è arrivata anche qua.

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