Se l'immigrato clandestino ha più diritti di Berlusconi

Il Tar lombardo annulla l'espulsione di un bengalese e sconfessa indirettamente la legge Severino: non si può applicare una pena retroattiva. Come si è fatto col Cav

Se l'immigrato clandestino ha più diritti di Berlusconi

Non era proprio così da matti sostenere che la legge Severino non poteva essere applicata retroattivamente, e quindi non poteva portare alla espulsione di Silvio Berlusconi dal Senato. Avevano provato a dirlo giuristi insospettabili come Valerio Onida, senza venire ascoltati; lo ha detto, e continua a dirlo, Luciano Violante, che per questo viene bersagliato di accuse di collaborazionismo. E ora a dirlo sono anche dei giudici, in una sentenza. Non si occupano del caso di Berlusconi, dei diritti tv, dei requisiti per essere eletti in Parlamento. Ma affrontano un tema le cui analogie con il caso che ha portato il Senato, il 27 novembre, a proclamare la decadenza del leader di Forza Italia, sono vistose. E sanciscono un principio chiave: «la certezza delle conseguenze dei comportamenti individuali». Chi commette un reato, deve poterne prevedere gli effetti, le conseguenze cui andrà incontro se verrà scoperto e condannato. Le conseguenze non solo penali, ma di ogni sorta.
Morale della favola: Silvio Berlusconi è stato espulso dal Parlamento, invece il signor Fazlul H., bengalese, potrà restare in Italia. Il decreto di espulsione nei suoi confronti è stato annullato dal Tar della Lombardia, con una sentenza depositata l'altro ieri, sulla base degli stessi identici motivi per cui Berlusconi chiedeva di poter restare in Parlamento. La legge non può essere retroattiva. E l'aspetto più sorprendente è la naturalezza con cui i giudici milanesi ricordano questo principio, come se si trattasse di cosa tanto evidente da risultare scontata, e da non necessitare di tante argomentazioni.
Anche Fazlul, come Silvio, è tecnicamente un pregiudicato. A suo carico c'è una condanna definitiva, emessa dal tribunale di Novara e confermata nei gradi successivi, per ricettazione e per «introduzione nel territorio dello Stato e commercio di prodotti con segni falsi», ovvero traffico di prodotti «taroccati». Per questo il 24 maggio dell'anno scorso il questore di Milano ha respinto la sua domanda di regolarizzazione, spianando la strada alla sua espulsione dall'Italia. Provvedimento apparentemente inevitabile: due leggi inseriscono esplicitamente entrambi i reati nell'elenco dei precedenti penali che rendono impossibile la concessione del permesso di soggiorno. Peccato che entrambe le leggi siano entrate in vigore dopo che il signor Fazlul ha commesso i reati.
Così, ecco quanto scrivono i giudici del Tar lombardo nella loro sentenza: «Entrambi i reati sono divenuti effettivamente ostativi alla permanenza dello straniero sul territorio nazionale solo in base a disposizioni legislative intervenute successivamente alla commissione dei fatti». «In base alla giurisprudenza costante, l'automatico diniego di rinnovo del permesso di soggiorno a fronte di reati cosiddetti ostativi non può essere applicato a fattispecie intervenute anteriormente all'entrata in vigore delle norme che hanno attribuito il carattere di ostatività al reato in questione, essendo tale principio insito nel più generale principio della irretroattività della legge penale, della certezza delle conseguenze dei comportamenti individuali che verrebbe vulnerato dalla sopravvenuta rilevanza negativa automatica di una condotta che all'epoca della sua commissione non determinava ex se la impossibilità di ottenere il permesso di soggiorno».
Siamo, come si vede, in un universo assai lontano dalla ribalta politico-giudiziaria in cui si è consumato il caso Berlusconi. Ma dal punto di vista del diritto, quasi sovrapponibile. A cambiare non è stata la legge penale: la ricettazione, come la frode fiscale, è sempre stata reato.

Ma dopo il delitto, sono intervenute delle leggi che intervengono sul tema dei diritti: il diritto di Fazlul di poter vivere in Italia, così come la Severino è intervenuta sul diritto di Berlusconi a essere eletto. Sono leggi che si mettono in collegamento diretto con una norma penale: e quindi non possono valere all'indietro. Lo dicono dei giudici.

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