Col tormentone Priebke si sta esagerando ed è venuto il momento di dire basta. Comprendiamo le opinioni di tutti, specialmente quella dei parenti delle vittime, la cui uccisione fu appunto organizzata dall'ufficiale nazista in base a ordini superiori, eseguiti fra l'altro con zelo da contabile un po' asino, visto che fu sbagliato per eccesso il numero dei prigionieri destinati a essere soppressi alle Fosse Ardeatine. Comprendiamo anche lo stato d'animo della comunità ebraica di Roma, ed è superfluo spiegare quanto sia legittimo il suo risentimento.
Ma c'è un limite oltre il quale non si può andare senza scadere nel surreale. Qui non siamo davanti a uno spietato funzionario della morte, ma a un defunto che non è più niente. È solo un corpo inerte già in via di decomposizione. Impedirne la sepoltura a Roma o altrove è assurdo. Un Paese normale, quasi civile, non offre i cadaveri in pasto agli avvoltoi e alle iene (fauna della quale peraltro il nostro è sprovvisto), bensì senza fare troppe distinzioni - dato che i morti una volta tali sono tutti uguali e meritano un trattamento almeno decoroso - pietosamente li porta al cimitero e li colloca in una fossa o in un loculo.
Se poi il de cuius è stato un boia, pazienza, adesso non lo è più. Non è in grado come lo era da vivo di esercitare la sua specialità, pertanto non fa paura, non può e non deve suscitare odio al punto da essere considerato un simbolo del male. Il male lo ha compiuto da vivo e non lo dimenticheremo mai. Ma non possiamo neanche dimenticare che i trapassati, se non innocenti, sono di sicuro innocui. E l'igiene e il buon senso consigliano di tumularli. Quel buon senso che mi pare manchi al sindaco della capitale, Ignazio Marino, che si è premurato di impedire i funerali del defunto tedesco. Quel buon senso che mi pare manchi anche al vescovo vicario di Roma, il quale si è rifiutato di celebrare le esequie in una qualsivoglia chiesa della città, ignorando il fatto che Erich Priebke era - a modo suo - un fedele e ha scontato fino all'ultimo giorno il massimo della pena, cioè l'ergastolo.
Nessuno, neppure un cardinale, può sapere se un peccatore, mentre stava chiudendo gli occhi, si sia pentito o no. Nell'ipotesi di un ravvedimento estremo, forse conviene essere indulgenti.
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