Così la clemenza del Colle scatenerà l'ira dei forcaioli

La giustizia in Italia è stata usata per troppi anni come arma impropria di lotta politica. Basta leggere le dichiarazioni di certi magistrati per capirlo. Ecco perché va riformata

Così la clemenza del Colle scatenerà l'ira dei forcaioli

La sola possibilità che Silvio Berlusconi venga graziato scatena i forcaioli d'Italia e di mezzo mondo. È la dannazione che vive questo Paese in cui la giustizia è stata usata per troppi anni come arma di lotta politica. Ed è proprio per questo che quella grazia dovrebbe arrivare. Leggete qui per averne la prova. Perché qui raccontiamo un pezzo di Paese che nelle procure e nei tribunali ha giocato una partita che con la giustizia aveva davvero poco a che fare. Cominciate da Gherardo Colombo, noto per essere stato l'ideologo del pool Mani Pulite, quello che mise in ginocchio tutti i partiti della repubblica tranne il Pci (che già aveva cambiato il nome in Pds). In un suo scritto, appendice del libro In nome dei pubblici ministeri di Gargani e Pannella, il pm di Magistratura democratica anticipava quale sarebbe stata la linea dei magistrati per combattere una politica non gradita. Il giudice - scriveva Colombo - deve svolgere un ruolo politico perché deve surrogare il ruolo di un'opposizione politica inefficiente per via della scelta consociativista della sinistra storica. In sostanza - sosteneva Colombo - il giudice deve avere un doppio ruolo: scendere in campo e sostituirsi all'opposizione parlamentare ogni qualvolta questa si dimostri incapace o impossibilitata a ribaltare la situazione. Pago di aver aperto il filone della magistratura militante, Colombo ora siede nelle stanze del potere più consociativista del Paese, il consiglio di amministrazione della Rai, ovviamente in quota Pd.

Sono così questi giudici, partono con la rivoluzione e arrivano alla pensione con la lottizzazione. È successo anche a un altro esponente di spicco di Magistratura democratica, Vittorio Borraccetti, che come magistrato sul campo si è fatto notare solo una volta, come coautore, insieme ad altri colleghi, di una clamorosa bufala giudiziaria, il caso (insoluto) di Unabomber. Presero fischi per fischi, indagarono e massacrarono un innocente che solo dopo un calvario giudiziario fu liberato con tante scuse (non le loro ovviamente). Ebbene, questo genio dell'investigazione, nel congresso di Magistratura democratica del 2000 tenne una relazione nella quale si teorizzava il dovere morale e politico di abbattere il governo Berlusconi. «Il conflitto di interessi dell'onorevole Berlusconi - disse - pesa come un macigno sulla democrazia italiana anche per la presenza nel suo schieramento di componenti, politiche pur minoritarie, che si richiamano esplicitamente al fascismo e alla xenofobia. E il suo schieramento - aggiunse - è pericoloso anche perché tende a mettere in discussione i fondamentali dell'attuale assetto costituzionale adoperando a tal fine, specie nel suo leader, una demagogia fondata su parole d'ordine semplici e accattivanti che assecondano gli istinti meno nobili del corpo sociale».

Per ammissione di uno dei leader di Magistratura democratica Berlusconi andava quindi perseguito non per reati specifici e provati ma in quanto politico molto votato e alleato con la Lega e An. Del resto Vittorio Borraccetti non ha fatto altro che appiccicare nomi e cognomi al teorema fondante di questa corrente, che nel congresso di Catania del 1972 prese il nome di «uso alternativo del diritto». Sentite cosa disse a proposito il giudice Di Lello: «Con questo congresso dobbiamo decidere se Magistratura democratica, nata per contrastare le mistificazioni della giustizia borghese, debba oggi accettare di farsi garante di una eventuale repressione dell'area del dissenso, magari in una ipotesi di compromesso storico». E il magistrato Libero Mancuso ammetteva: «Siamo figli del Sessantotto perché siamo cresciuti con quelle lotte e al fianco di esse». Giacomo Conte, giudice del tribunale di Palermo, affermava che «era inaccettabile il punto di vista di chi intende identificare il movimento democratico, del quale noi siamo parte integrante ed essenziale, soltanto nel Pci e nelle forze prevalenti delle federazioni sindacali lasciando fuori i collettivi di base, i gruppi della nuova sinistra, i consigli di fabbrica, i movimenti dei diritti civili e femministi, cioè i poli di aggregazione di una autentica espressione proletaria capace di prefigurare la costruzione della società socialista».

Il magistrato come un Cobas, un No Tav, un no global, infarcito di ideologia comunista e pronto a tutto per metterla in pratica, fino a teorizzare la possibilità di una «giurisprudenza alternativa» e del «diritto diseguale» a seconda del giudizio politico. Come Antonio Bevere, il giudice che ha condannato al carcere il sottoscritto, che da sostituto procuratore di Milano ebbe a dire: «Il capitalismo è il vero nemico della democrazia». E la magistrata Elena Paciotti: «Quando un giudice di Magistratura democratica si trova di fronte un imprenditore e un lavoratore deve considerarli uguali davanti alla legge o assumere un atteggiamenti parziale?». Domanda retorica. La risposta è arrivata nei fatti.

E figuratevi quanto possono essere stati parziali i magistrati di Magistratura democratica quando si sono trovati davanti l'imprenditore Silvio Berlusconi che con Forza Italia uccise nella culla il loro sogno di arrivare per via giudiziaria (Mani Pulite) a un'Italia comunista.

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