Da tempo immemorabile non mi perdo il sermone domenicale di Eugenio Scalfari sulla Repubblica. Prima gli do un'occhiata, saltabecco da un capoverso all'altro in cerca di qualcosa di stimolante, poi, con lo stesso spirito col quale uno scolaro sente di dover portare a termine i compiti assegnatigli dalla maestra, mi impegno a leggerlo tutto. Così ho fatto anche ieri. L'incipit e la parte contenuta nella prima pagina, in cui l'autore affrontava un argomento che ha ispirato il titolo («Il legno storto che vorremmo raddrizzare»), in verità non invogliavano alla prosecuzione della lettura chi non fosse appassionato di falegnameria. Però, dato che sono un ex ragazzo di buona volontà, non ho ceduto alla tentazione di passare ad altro articolo.
Non me ne sono pentito, perché la prosa scalfariana a un certo punto è stata illuminante, confermando autorevolmente un sospetto che nutrivo da anni. E cioè che la sinistra, della quale il Fondatore del primo quotidiano maneggevole è una sorta di guida spirituale, abbia, fra le tante, un'ossessione tale da farle smarrire la sinderesi.
Riporto un brano esplicativo dell'editoriale in questione: «Se Berlusconi seguisse il consiglio che alcuni dei suoi collaboratori e familiari gli hanno dato e gli danno, dovrebbe dimettersi da senatore. Guadagnerebbe un merito, agirebbe per il bene del Paese che lui ha amato soltanto perché un vasto settore di opinione pubblica lo ha appoggiato... Le dimissioni da senatore e l'accettazione della condanna, l'abbandono della vita pubblica sarebbero il primo e solo merito, tutti gli altri vantati da lui e dai suoi fedeli sono assolute bugie. Penso... che se... nella forme dovute (Berlusconi, ndr) chiedesse un provvedimento di clemenza, forse l'otterrebbe».
Da queste frasi che paiono sgorgate dal cuore si capisce molto. Gli ex comunisti riuscirono grazie a Mani pulite a far fuori il pentapartito, ossia qualsiasi avversario, e a salvare se stessi (che pure avevano rubato quanto gli altri), spianando la strada alla gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto. Il piano sembrava perfetto, ma non teneva conto di un'incognita: il Cavaliere. Che in pochi mesi, cioè all'ultimo momento, organizzò un movimento politico, Forza Italia, all'inizio sottovalutato ma che, invece, si rivelò potente come un uragano, tant'è che vinse le elezioni nel 1994.
Una botta micidiale per i compagni. I quali, superato lo choc causato dalla batosta, cominciarono a lavorare sodo per eliminare l'intruso, considerato una meteora. Non sappiamo se per caso o in esecuzione di un raffinato progetto, la magistratura si trovò di fatto alleata della sinistra nel tentativo di sgomberare il campo politico da Forza Italia (e dal suo capo), rea di aver occupato lo spazio lasciato vuoto dal pentapartito (distrutto) vietando ai progressisti di gestire stabilmente il potere.
Questo è sempre stato il problema. Annientare Berlusconi, formidabile procacciatore di voti, ed eliminare ogni ostacolo al trionfo elettorale della coalizione a prevalenza postcomunista. Per circa due decenni la battaglia politico-giudiziaria ha incendiato il Paese senza decretare una piena sconfitta del leader del centrodestra. Che però non poteva cavarsela all'infinito. Difatti, a furia di inchieste, processi, ispezioni eccetera, egli è cascato nella maniera nota: condanna in Cassazione, alla quale l'ex premier non si rassegna, affannandosi nella speranza di annullarla o almeno di attenuarla affinché non sia un impedimento alla continuazione dell'attività politica.
Operazione difficile da realizzare, ma è ovvio che il Cavaliere ci provi. Che altro dovrebbe fare? Ed ecco il suggerimento ammantato di pelosa benevolenza proveniente dal pulpito di Scalfari: Silvio dimettiti, vattene, sparisci dalla scena politica, ritirati in pensione, domanda scusa. Parole che tradiscono non il desiderio che al Nemico sia concesso l'onore delle armi, figuriamoci, bensì la voglia che egli si umili fino in fondo, chiedendo pietà, magari senza ottenerla, poi vada a marcire ai domiciliari in attesa di altre sentenze che completino la vendetta. E che ciò sia di monito per tutti: chi tocca la sinistra, o si toglie la vita o qualcuno gliela toglierà. Anch'io do un consiglio a Berlusconi: non ascolti consigli, tantomeno quelli di Scalfari, e neppure il mio.
segue a pagina 6
di Vittorio Feltri
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