Roma - Se governa Berlusconi, tutto quello che va male - incluso lo spread - è demerito suo. Se Palazzo Chigi è di proprietà del centrosinistra, invece, è solo il destino cinico e baro a provocare eventi sfavorevoli. Come l'allargamento del divario di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi.
Ieri, infatti, lo spread tra Btp e Bund ha raggiunto la soglia psicologica dei 200 punti base. Non accadeva da febbraio. E così la «macchina da guerra» di Renzi e dei suoi ministri ha subito cercato di smorzare mediaticamente la portata dell'evento, aiutata anche da un favorevole ripiegamento dell'indicatore a quota 183 a causa del flop dell'asta dei titoli tedeschi. «È un segnale di nervosismo dei mercati legato anche all'incertezza sul voto europeo», ha minimizzato il titolare dell'economia, Pier Carlo Padoan. Ancor più tranquillizzante il suo dante causa, l'ex sindaco di Firenze. «Non ci preoccupa lo spread finanziario, ma quello del populismo antieuropeista», ha chiosato il presidente del Consiglio come se la cosa non lo riguardasse più di tanto. Un rialzo di oltre 40 punti in due settimane non è colpa sua. Semmai di quel birichino di Beppe Grillo. E poi, oggi a Palazzo Chigi c'è lui, mica Berlusconi del quale il primo novembre 2011 auspicò le dimissioni perché «non mi sembra in grado di fare le cose ha promesso».
Eppure basta tornare indietro di soli due anni e mezzo, a quell'orribile autunno del 2011 per verificare che al Cavaliere non fu usata la stessa cortesia. Prendiamo un giorno qualunque: il 5 settembre. Quel giorno il differenziale si alzò a quota 370 nonostante una manovra emergenziale da poco varata. «Nessuno può sottovalutare il segnale allarmante che indica una persistente difficoltà a recuperare fiducia come è indispensabile e urgente». Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che già da tempo aveva avviato informali consultazioni per «avvicendare» il premier, non esitò a bacchettare Berlusconi. Matteo Renzi, invece, può ancora godere del parafulmine quirinalizio.
IL 26 settembre 2011 l'allora vice-Bersani, Enrico Letta, si produsse in una sentenza passata agli annali della cronaca politica. In un'intervista al Messaggero dichiarò: «Appena Berlusconi si dimette lo spread scende di 100 punti». Quel giorno lo spread si fermò a 376 punti. Il paradosso è che l'infondato ragionamento fu riproposto anche da severi analisti ed economisti (incluso Nouriel Roubini il cui pessimismo cosmico su Repubblica trova sempre spazio). Che cosa ha detto ieri il fu premier Enrico Letta? «Il dato della spread significa che c'è bisogno di risposte rassicuranti». Eppure in quei giorni di settembre del 2011 l'impennata dei tassi di Btp fu meno rapida di quella attuale. Ma a Palazzo Chigi non c'era uno del Pd e «la ditta» va sempre difesa anche se a guidarla c'è chi ti ha fatto le scarpe.
Anche Massimo D'Alema in quei giorni si travestì da Mago Otelma
della finanza e azzardò in piena crisi (4 novembre 2011, 482 punti) che «se va via Berlusconi, sono almeno 60 in punti in meno». Oggi il líder Massimo tace perché è ancora in ballo un posto a Bruxelles. E Matteo dà le carte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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