Lo straniero maltratta la moglie? Non ha diritto alla cittadinanza

Il Tar di Torino boccia la richiesta di un marocchino in Italia da oltre dieci anni. Denunciato dalla ex e condannato: "È la prova che non è integrato"

Lo straniero maltratta la moglie? Non ha diritto alla cittadinanza

L'immigrato che ha maltrattato la moglie (e per questo è stato condannato da un tribunale) non ha diritto alla cittadinanza italiana: è quanto si afferma in una sentenza del Tar del Piemonte, che ha respinto il ricorso di un marocchino in Italia da più di dieci anni e divorziato dal 2007.

Allo straniero la domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana era stata rifiutata nel 2010 nonostante fosse residente nel territorio nazionale da oltre dieci anni e avesse sempre svolto un lavoro regolare. Perdipiù fa anche del volontariato. A suo sfavore hanno giocato una condanna definitiva per maltrattamenti e un rapporto informativo della questura di Torino del 2008, da cui si ricavano delle denunce della ex.

Inutilmente il marocchino ha fatto presente che «i precedenti penali e le pendenze giudiziarie erano legati ai burrascosi rapporti con la sua prima moglie e che null'altro risulta a suo carico».
Il Tar ha stabilito che gli episodi non sono così gravi da fargli perdere il permesso di soggiorno, ma sono sufficienti a negargli la cittadinanza perché, «in sé per sé valutati, hanno portato l'amministrazione a ritenere che non potesse ritenersi compiuto il suo processo di integrazione nella comunità nazionale». Quel che resta è il dubbio sulla gravità dei reati, che i giudici sembrano valutare con bilancini non perfettamente tarati. Pesi e misure diversi, in modo incomprensibile. Dalle pronunce dei magistrati amministrativi su altre due cause analoghe risulta che una condanna per incendio colposo non è sufficiente per respingere la richiesta di cittadinanza, una condanna per furto invece sì. Evviva l'interpretazione.
Inutilmente il marocchino ha sottolineato che i guai con la legge erano solo il prodotto del rapporto con la prima moglie, un matrimonio diventato burrascoso nel periodo che precedette il divorzio siglato nel 2007. Una serie di episodi che, se non sono stati considerati abbastanza gravi da revocargli il permesso di soggiorno, giustificano il rifiuto di naturalizzarlo e quindi la validità del «no» pronunciato nel 2010.

D'altra parte, osservano i giudici citando il Consiglio di Stato, le autorità hanno il diritto di esercitare questo potere in maniera «ampiamente discrezionale». E la cittadinanza non è una medaglia che si regala a chi la chiede «per comodità di carriera, di professione o di vita»: l'amministrazione, prima di concederla, deve accertare caso per caso «un interesse pubblico da valutarsi ai fini della società nazionale. La sentenza, comunque, lascia ancora aperto uno spiraglio.

Se nel 2010 il Ministero ha agito correttamente, non è detto che in futuro non possa ripensarci: l'uomo, tra un anno, potrà presentare una nuova istanza». Un marocchino, nel 1996, vinse il ricorso perchè il suo precedente era un patteggiamento con il tribunale di Cagliari, per il reato di incendio colposo.

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