Il ministro Balduzzi sarà un mago della salute, ma è un asino nelle finanze pubbliche, materia indispensabile quando, a livello ministeriale, ci si occupa di imposte. Per Balduzzi le imposte sono uno strumento a disposizione del governante, per indurre i cittadini a tenere la condotta che lui ritiene sia quella appropriata. Tale è il mostriciattolo fiscale da lui inventato consistente in un tributo temporaneo sulle bevande dolcificate destinato ad educare il cittadino a bere di meno quelle dolci e di più quelle non dolci. Questa concezione, secondo la nostra costituzione fiscale (tralascio, per semplicità quella dell'Unione europea) è una autentica asineria.
Balduzzi dovrebbe evitare di escogitare per conto proprio i tributi per finanziarie le spese che lui propone; sarebbe meglio che lo facesse riducendo altre spese di competenza del suo ministero. E se proprio vuole aumentare la spesa e le imposte, mentre al governo di cui fa parte si chiede di fare il contrario, potrebbe rivolgersi al dicastero dell'Economia per la parte fiscale. Ma lui vuole fare il ministro della Sanità e delle Finanze insieme. Non sa che da Adam Smith in poi, per i sistemi di mercato, le imposte sono la contropartita delle spese pubbliche. E, pertanto, quando i servizi pubblici non si possono far pagare a chi li consuma, le imposte vanno prelevate con criteri oggettivi di generalità ed eguaglianza, per evitare arbitri che limitano la libertà e distorcono l'economia.
In Italia questo principio è fissato dalla Costituzione che stabilisce all'articolo 3 il canone di eguaglianza e all'articolo 53 quello che tutti debbono concorrere alle spese pubbliche secondo la capacità contributiva, cioè in rapporto ai loro mezzi economici. Possono esserci «diseguaglianze» nel caso in cui il contribuente riceva dalla spesa pubblica un beneficio particolare o generi un costo particolare alla collettività. Da ciò si desume che in Italia sono vietate le imposte extra fiscali, aventi il fine di correggere il comportamento individuale, salvo quando si possa sostenere che esse riparano a un danno collettivo, effettuato dal singolo con la sua condotta. Ad esempio, tassano chi inquina col principio «chi inquina paghi» per il costo inflitto ai terzi, di cui lo Stato si deve far carico.
L'imposta sulle bevande zuccherate, escogitata da Balduzzi, non rientra per niente in questa specie. Infatti chi le beve non danneggia gli altri. Può darsi che danneggi sé stesso, ma ciò dipende da tutte le altre scelte che fa. Comunque, non è compito dello Stato impedire alle persone di tenere volontariamente la condotta A o B, che i governanti pensano che le danneggi, sinché non ci sia un danno per gli altri, che comporta un onere per lo Stato. Anche ammesso che si potesse dimostrare che lo zucchero fa male e che ciò comporta un onere aggiuntivo al Servizio sanitario nazionale, il principio di eguaglianza dell'articolo 3 della Costituzione imporrebbe di tassare egualmente tutto ciò che è zuccherato: quindi lo zucchero e gli altri prodotti analoghi, come il miele e il vino dolce e la frutta, in base al loro contenuto zuccherino. Tassare le sole bevande con zucchero è contro l'articolo 3 e 53. Ma un ipotetico tributo sullo zucchero e su tutto ciò che contiene zuccheri è doppiamente assurdo. Innanzitutto perché lo zucchero fa parte degli alimenti normali e poi perché una imposta su tutte le cose dolci è di impossibile attuazione.
Che il professor Balduzzi abbia una idea strana dei principi della finanza pubblica è dimostrato anche dal fatto che per giustificare il mostriciattolo del tributo sulle bevande dolcificate, ha detto che è di soli 3 centesimi ed è straordinario, cioè è un tributicolo. E qui casca l'asino. La pezza è peggiore del buco. Infatti una imposta molto piccola su basi così particolari e mal definibili è sconsigliata in base alla secondo, terza e quarta massima di Adam Smith, secondo cui l'imposta deve essere semplice, certa e non costare troppo nella gestione, rispetto al provento che dà all'Erario. Il tributo «straordinario» non è certo, perché l'imposta temporanea può diventare permanente.
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