Il giorno dopo dei rosiconi è come una tavola vuota senza grissini da sgranocchiare, dove per riuscire a mettere qualcosa sotto i denti bisogna alzare le maniche, scoprire i gomiti e cominciare a masticare. Doveva essere il giorno della fuffa, della bolla, dell'imbroglio, del maghetto inesperto che con i suoi fuochi d'artificio si sarebbe dovuto scottare le mani. E, invece, il prestigiatore di Firenze è riuscito a far uscire dal suo cilindro un pirotecnico consiglio dei ministri e in cui senza aver avuto neppure il bisogno di approvare chissà quale manovra ha sedotto tutti con la sola imposizione delle mani. A me gli occhi. E così i nemici di Renzi, i suoi avversari, i suoi rottamatori, i suoi franchi tiratori, dopo essersi appollaiati per alcuni giorni nei vari rami del Parlamento travestiti da gufetti iettatori, sperando in un inciampo, in uno starnuto, in un tranello, in uno scivolone, si ritrovano ora a fare i conti con un presidente del Consiglio che si sarebbe dovuto già schiantare alla prima curva e che invece, dopo lo show di mercoledì, è lì che, superata la curva, sgasa con il suo chiodo alla Fonzie, le sue slide, il suo powerpoint, come l'ultimo dei tamarri.
Brum brum. Con questo risultato. Renzi dà una sportellata alla concertazione ma riesce ugualmente a conquistare la Cgil (Susanna Camusso: «Renzi ha accolto molte delle nostre richieste»). Renzi seduce l'Europa ma riesce ugualmente a sedurre la sinistra (Gianni Cuperlo: «Devo ammetterlo, Matteo ha fatto un discorso di sinistra»). Renzi dà le briciole agli industriali ma riesce ugualmente a conquistare una parte degli imprenditori (leggere per credere la prima pagina del Sole 24 Ore di ieri). Renzi abolisce l'articolo 18 per i primi tre anni dei contratti di lavoro ma riesce ugualmente a far esultare i senatori vendoliani (leggere per credere le parole di ieri di Gennaro Migliore: «Valutiamo positivamente gli sgravi fiscali proposti da Renzi») e pure le gazzette vicine ai sindacati (leggere per credere il titolo estasiato dell'Unità di ieri: «Più soldi in busta paga»). Renzi discute animosamente con il ministro Padoan per le coperture e poi si ritrova con il Quirinale costretto a riconoscere la bontà dei provvedimenti del presidente (leggere per credere gli elogi del quirinalista Marzio Breda sul Corriere di ieri). Tutti spiazzati dal contratto con gli italiani. Tutti scodinzolanti per l'alleggerimento sull'Irpef. Tutti disorientati per non avere per alcuni mesi l'arma del «ma questo non sta facendo nulla». Con poche eccezioni. Tutte interne al Pd. Dove i roditori più incalliti grattando grattando qualche grissino sono riusciti a trovarlo, e una scusa per non accodarsi allo scodinzolio renziano l'hanno beccata. Chi per la legge elettorale. Chi per le coperture. Chi per le promesse vuote. Chi per il fatto che Renzi, di grazia, non ha approvato un bel nulla in Consiglio dei ministri. E così i lettiani, astuti, capiscono che li si nota di più se non si adeguano: e nel giorno in cui viene approvata la legge elettorale propongono un referendum per abrogare la legge nel caso in cui non siano introdotte le preferenze. E così i bersaniani, mentre sono lì alla ricerca di un grissino, dicono che il merito è tutto loro, dei parlamentari della vecchia guardia, che per spirito di sacrificio hanno deciso di non affossare il governo e gli hanno gentilmente permesso di andare avanti. Reggerà? I non amici di Renzi continueranno a piazzar ostacoli sul percorso. Soprattutto sulla legge elettorale.
L'obiettivo sarà quello di rottamare la profonda sintonia di Renzi con il Cavaliere. Ma finché l'asse con Berlusconi reggerà, Renzi riuscirà a far alzare molte maniche, a far scoprire i gomiti e far masticare amaro i suoi franchi tiratori. È successo mercoledì. Succederà anche lunedì prossimo. Quando Renzi sarà da Angela Merkel.
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