Prosegue con furore asburgico la germanizzazione delle più belle vallate italiane. Nell'indifferenza dell'Italia, ovviamente. Siamo praticamente alla spallata finale: dopo avere di fatto distrutto la scuola in lingua italiana, dopo avere sostanzialmente estromesso l'etnia italica da benefici e privilegi sociali, arriviamo al provvedimento più cattivo e più simbolico di tutti, l'abolizione del tricolore. Nelle ultime ore, il consiglio provinciale di Bolzano, cioè dell'Alto Adige, cioè del Sud Tirolo (come pretendono orgogliosamente di chiamarlo in zona) ha stabilito che i rifugi delle più incantevoli montagne italiane (senza niente togliere alle altre, ma è così) non potranno più chiamarsi con nome italiano (e sin qui siamo nella bieca normalità), ma neppure issare la bandiera italiana (e qui entriamo nella vergogna assoluta).
La simpatica proposta è del partito separatista di Eva Klotz, la popolare pasionaria che ama l'Italia quanto la lebbra, ma conta sul sostegno entusiasta e decisivo del mitologico Svp, Sudtyroler Volkspartei, retto dal monarca indiscusso e riverito Luis Durnwalder, presidentissimo negli ultimi 24 anni. Si dice a Bolzano che la provocazione sia il gesto estremo, l'asso nella manica, sfoderato a un mese dalle prossime elezioni provinciali, quando si chiuderà il regno di Durnwalder. E quando si parla di elezioni provinciali a Bolzano non si intende la fiacca e inutile liturgia che ormai investe tutte le nostre moriture provincie: si parla del potere in un potentato di livello nazionale, dove si gestiscono tantissimi soldi e tantissimi vantaggi.
Qualunque strategia abbia portato ad ammainare per sempre il tricolore dalle cime altoatesine, restiamo comunque nel campo dello scandalo. Mentre l'Italia va a pezzi, un pezzo di Italia si prende il gusto di calpestare la bandiera. In un altro luogo e in un altro tempo, il gesto sarebbe da ribellione popolare e da intervento dello Stato. Trovandoci invece nel Paese della burletta, tutti si voltano dall'altra parte. L'unica voce timidamente avvertita a Roma è quella del ministro per le autonomie Delrio, coinvolto per dovere d'ufficio e anche perchè viene pur sempre dalla città del tricolore, Reggio Emilia: «Mi auguro un ripensamento. I rifugi espongono la bandiera della loro nazione. Vorremmo che nei rifugi su suolo italiano si continuasse a esporre una bandiera d'Italia».
Di fronte a cotanta veemenza, sopra Bolzano si faranno al massimo quattro risate. E andranno avanti imperterriti, fieramente convinti di essere nella più rigorosa normalità: per loro quello non è suolo italiano, dunque non esiste il problema, dunque non esiste motivo di sventolare la bandiera di uno stato straniero. Perchè non quella dell'Angola o del Canada, allora?
A chi non è molto addentro - quasi tutti, in Italia: e gli altoatesini su questa indifferenza ignorante ci marciano - a chi non è addentro sembrerà un clima surreale. Ma a Bolzano siamo nella realtà più reale. Quotidiana e capillare. In questa - fantastica - fetta d'Italia, essere italiani diventa ogni giorno più eroico. Dallo Statuto di autonomia De Gasperi-Gruber, firmato nel Dopoguerra, passando per la lunga stagione del terrorismo (dal 20 settembre 1956 al 30 ottobre 1988 si contano 361 attentati con esplosivi, raffiche di mitra e mine antiuomo, per un totale di 21 morti e 57 feriti), passando ancora per i ricatti del patriarca Silvius Magnago che portano a un nuovo Statuto autonomo (1972), il risultato finale è deprimente. Stupenda la regola del gioco che vale solo qui: ad ogni censimento, i cittadini sono chiamati anche a scegliere in quale gruppo linguistico entrare (vietato parlare di etnia, ma è questa la sostanza). Nell'ultimo del 2011, su una popolazione di 504.643 individui, il 70 per cento risulta di lingua tedesca e il 26 italiana (i restanti sono ladini). Non è una folkloristica divisione da palio delle contrade: essere di un gruppo o dell'altro significa avere la vita facile o difficile, perché case, lavoro, scuole vengono spartiti in base alle percentuali.
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