È il ritorno alla guerra fredda. No, è un film: in questo momento Edward Snowden è nella zona transiti dell'aeroporto di Sheremetyevo e ora ha tutti intorno, russi e americani, cinesi e curiosi. Macché, è una storia cinese, tipicamente asiatica, anzi sudamericana, cubana ed ecuadoregna, ma forse nordcoreana con un sapore antico e un tuffo nel futuro anteriore dello spionaggio.
La verità è che la storia non si ripete mai neppure sotto forma di farsa e dunque potrebbe, proprio per questo, anche ripetersi solo per dimostrare che anche questa regola è falsa. Dunque, il bravo ragazzo Snowden, classe 1983, un tecnico che ha dichiarato di essersi fatto assumere da una ditta che lavorava per l'agenzia Nsa, si trovava ieri al terminal D mentre Vladimir Vladimirovic Putin, esibendo una delle sue più perfette facce da impunito ha detto in una pubblica dichiarazione: «Arrestarlo? Non ne vedo il motivo, anche perché non si trova neppure sul suolo russo. Estradarlo? E perché mai?».
E così siamo tornati a square one, la casella numero uno del gioco dell'oca internazionale che questo misterioso trentenne ha aperto con la sua fuga, le sue dichiarazioni al britannico Guardian, il suo affermato proposito di danneggiare il più possibile gli Stati Uniti d'America guidati da un Barack Obama che ai suoi occhi vale tanto quanto l'arcinemico George W. Bush.
Morale: su questa vicenda si stanno polarizzando da una parte tutti i nemici degli Stati Uniti con la new entry dell'Ecuador che sostituisce (almeno ci prova) il Venezuela del defunto Chavez; e dall'altra si sta formando una santa alleanza fra Stati Uniti ed alleati, a cominciare dal Regno Unito che ha fatto largo uso dei sistemi denunciati da Snowden, intercettando e catalogando tutte le telefonate e i messaggi in arrivo dalla Germania, per motivi che a noi non è dato sapere.
Allora: siamo o no al ritorno di fiamma della guerra fredda? Che rispondere? Sì e no. Il sì è di rigore se si ricorda che anche l'antica guerra fredda fra il 1945 e il 1989 fu, sotto il travestimento ideologico di una guerra fra comunismo e democrazie, uno scontro fra l'impero russo e gli Stati Uniti con tutti i loro alleati del Patto Atlantico. Esiste ancora quello scontro fra imperi? Non esattamente, ma alcune tracce resistono. Stati Uniti e Russia non hanno mai superato la fase dello scontro e Obama, non diversamente da Bush, guarda con allarme all'influenza finanziaria russa, derivata dalla sola vendita di idrocarburi, petrolio e gas, con una classe dirigente tutta creata e cooptata nelle aziende di Stato come Gazprom. C'è poi stata una guerra (vinta da Putin) sugli oleodotti, un'altra guerra (vinta da Putin) sul dispiegamento di batterie antimissile sull'Europa orientale e una terza guerra (per ora vinta da Putin) per il sostegno del regime siriano. Dunque lo scenario non manca e Washington le sta prendendo su tutti i fronti. E in che modo su questo scenario si innesta il signor Snowden?
Snowden rappresenta il fattore umano, l'irrompere del caso, l'elemento imprevedibile. La sua figura diventa ogni giorno più ambigua. Cresce il sospetto che agisca per conto o su istruzioni di uno o più committenti e oggi protettori e infatti tutti si chiedono perché sia fuggito proprio a Hong Kong mettendosi lì in contatto con il governo cinese, cioè con un soggetto politico in grande competizione con quello americano sulle interferenze nella rete e lo spionaggio elettronico?
E perché afferma di essere tentato dall'Ecuador che è oggi lo Stato emergente dell'America Latina fra i nuovi sfidanti di Washington, dopo aver annunciato di voler andare a Cuba? Tutte scelte casuali, guarda un po', fra gli avversari e i nemici degli Stati Uniti?
Le sue mete sono L'Avana, Quito, Mosca, Hong Kong, Bejing, forse la liberale Islanda dove si trova anche il quartier generale dell'altro fuggiasco Julian Assange, l'uomo dei primi e più noti «leaks» che hanno messo in braghe di tela diplomazia e cancellerie di mezzo mondo. E infatti anche l'Islanda è entrata nella lista nera delle agenzie di spionaggio americane e inglesi.
In Ecuador è intanto nato un nuovo Fidel Castro, si chiama Rafael Correa, un professore universitario e sociologo che cerca di ereditare il regno del defunto Chavez ma che intanto si segnala per le sue persecuzioni contro giornali e giornalisti del suo Paese. Ed è lì, a Quito, che il giovanotto Snowden è atteso come un eroe, per aver dichiarato guerra all'arcinemico americano di cui diffonde le carte segrete, le operazioni segrete, i piani segreti.
Se la vita reale fosse come un film, già una squadra di killer sarebbe sulle tracce di Snowden per farlo semplicemente fuori. Ma poiché la vita reale non è un film e gli Stati Uniti non possono permettersi una brutale soppressione di Snowden, ecco che si scatena una battaglia legale e diplomatica che non avrebbe potuto svolgersi ai tempi della guerra fredda, quando si metteva mano alle armi chimiche e batteriologiche molto spesso, per non dire degli ombrelli bulgari e altri sistemi per eliminare gli avversari e i defezionisti.
Ecco invece che avvocati, ambasciatori, uomini dei servizi segreti ed emissari altrettanto segreti si parlano ronzando per canali riservati, specialmente su Skype (che è finora il mezzo più sicuro per parlare senza essere intercettati) e cercano un accordo. Ma l'accordo è lontano perché nessuno, né Putin, né i dirigenti di Pechino, né l'ecuadoregno Correa, è disposto ad ammettere di aver adottato o di voler adottare il fuggiasco Snowden il quale ieri era imbottigliato sudando freddo nel torrido terminal D dell'aeroporto di Mosca.
È ovvio che Snowden è una preda prelibata per tutti i servizi di sicurezza e spionaggio del mondo, americani inclusi che vorrebbero impedirgli di nuocere, non soltanto per le informazioni che conosce in prima persona, ma per la conoscenza del sistema complessivo. Ovviamente tutte le password e i firewall sono stati cambiati, ma lui sa come arrivare ai file e sa anche perché i file esistono, e chi li gestisce, e quali sono gli uomini sul terreno che li alimentano con le loro vite doppie e triple, secondo le buone norme dello spionaggio.
Snowden sta certamente trattando: per la sua sicurezza e per il miglior vantaggio possibile. Obama è furioso e Putin è beffardo. Correa è ansioso di diventare il protagonista, e i cinesi raccolgono elementi per dimostrare che malgrado gli accordi sottoscritti con una stretta di mano in California poche settimane fa con il presidente Obama, gli Stati Uniti giocano sporco.
È guerra fredda questa? Non ha alcuna importanza il grado di calore. Sta di fatto che si tratta di una guerra modernissima, con armi ieri impensabili per tecnologia, di cui la più obsoleta è probabilmente il cervello umano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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