Le verità di Tremonti: così l'arrivo dell'euro ci ha portati al disastro

Tremonti: "Furono gli industriali tedeschi a insistere. Temevano la nostra concorrenza se fossimo rimasti fuori dall'Ue"

Le verità di Tremonti: così l'arrivo dell'euro ci ha portati al disastro

Tutto quello che avreste voluto sapere sull'euro e nessuno ha mai osato dire ora è nero su bianco nell'ultimo libro del redivivo Giulio Tremonti. Il «cuore artificiale dell'Europa contemporanea», una moneta «che toglie più di quello che dà» sentita «come un killer venuto da fuori». L'ex ministro abbandona i silenzi diplomatici in Bugie e verità, che Mondadori ha appena mandato in libreria (286 pagine, 18 euro), togliendo le ultime ipocrisie sugli anni recenti di storia italiana dominati dall'«internazionale della bugia».
Non è mai tardi per un'operazione-verità, e quello del braccio economico del Berlusconi premier (mal sopportato da colleghi di governo in Italia e in Europa) è il racconto di un protagonista, da sempre critico con la moneta unica, la fretta di introdurla, i parametri «stupidi», la blindatura che di fatto impedisce ripensamenti. Ma adesso dirsi euroscettici non è più una bestemmia contro la patria.
Il primo vero peccato mortale fu come l'Italia entrò nell'euro, una storia «che si intreccia con alcuni “codici misterici”». Quell'operazione, condotta da Prodi e Ciampi, fu venduta come un merito dell'illuminata classe dirigente tricolore. In realtà, svela Tremonti, furono le industrie tedesche a premere sull'acceleratore: temevano la concorrenza della manifattura italiana, seconda in Europa e quinta nel mondo, resa più pericolosa dalle svalutazioni competitive della lira rispetto al marco. «Nel corso di una riunione “ad hoc” sul lago Lemano», scrive Tremonti, gli industriali teutonici convinsero i loro banchieri a favorire a ogni costo l'ingresso dell'Italia, «intrappolata e spiazzata dalla nuova moneta che si sarebbe dimostrata troppo forte per un'economia debole». Ma i conti dello Stato non erano in ordine, l'eurotassa o la diversa contabilizzazione dei contributi Inps non bastavano, servivano «manovre di estetica contabile» più efficaci: così si fece ricorso ai «tuttora segretissimi “derivati per l'Europa”» cui accenna un allegato dell'ultima legge di Stabilità, in modo da contabilizzare subito le entrate e occultare le uscite. «Delle particolari straordinarie operazioni finanziarie, e della connessa debolezza della posizione del governo italiano, gli altri governi europei erano perfettamente al corrente» al punto da imporci un cambio lira/euro molto penalizzante. «L'Italia non aveva tutti i numeri per entrare nell'euro fin da principio, ci è entrata alterando il suo bilancio», accusa l'ex ministro.
Anche la lettera della Bce del 5 agosto 2011 nasconde retroscena mai rivelati. Tremonti fa risalire l'operazione alla cocciutaggine con cui il governo italiano si opponeva al nuovo Fondo salva-stati, «contrario al nostro interesse nazionale». Le nostre banche possedevano il 5 per cento dei debiti dei Paesi a rischio (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) ma dovevano contribuire con il 18 per cento del fondo. L'Italia avrebbe accettato soltanto in cambio degli euro-bond, mezzi finanziari per ridurre i rischi della speculazione internazionale. «Il colpo di manovella fu dato con “l'illuminata” costruzione di una falsa catastrofe»: rimangiandosi i complimenti al governo Berlusconi di pochi giorni prima, l'improvvisa lettera scatenò la valanga finanziaria dello spread.
L'arma della speculazione fu usata anche dopo il G20 di Cannes, il cui clima ostile all'Italia è già stato raccontato dall'ex premier spagnolo Zapatero. Subito dopo il vertice, ricorda Tremonti, «la principale piattaforma elettronica per la negoziazione dei titoli pubblici italiani Lch-Clearnet senza ragione e improvvisamente ha alzato i richiesti margini di garanzia sui titoli italiani»: il costo dei Btp cresceva ancora e ne favoriva la vendita.
«Una mossa troppo repentina al punto da risultare sospetta». Ed ecco il «dolce colpo di stato». Naturalmente, una delle prime decisioni del governo Monti fu di piegarsi ai voleri franco-tedeschi: «A partire dal 2015, e, per ironia, proprio per espressa volontà nostra, ci troviamo obbligati non solo a pagare il conto delle perdite bancarie degli altri, ma anche a rispettare il fiscal compact: per vent'anni tagli di spesa pubblica più o meno per 50 miliardi di euro ogni anno».
Tra luci e ombre dell'azione economica dei governi di centrodestra, Tremonti solleva il velo sugli errori degli esecutivi di centrosinistra, soprattutto quelli del quinquennio 1996-2001 spesso sottaciuti: da quelle «riforme devastanti» (soprattutto il decentramento sbilanciato, le forzature per l'ingresso nell'euro e la «costituzionalizzazione dell'Europa») «hanno avuto origine e sviluppo le principali dinamiche negative che oggi stanno portando l'Italia allo sprofondo della sua crisi».
È tutto questo che ha prodotto il vituperato antieuropeismo: «Non sta scritto da nessuna parte che il “populismo” in arrivo in Europa e su vasta scala sia un male politico», un movimento che «per dinamica e dimensione è già europeo» e che «per la sua parte maggiore, è pacifico e civile e, per ora, ancora muto. Ma forte perché popolarmente diffuso». Uscire dall'euro non si può: Tremonti ne specifica i pochi benefici e gli altissimi costi.

Si può però fare dell'altro, una ricetta già proposta dall'ex ministro: «Interrompere l'orgia legislativa in atto e di nuovo garantire la libertà: tutto è libero, nel campo economico, tranne ciò che è espressamente vietato».

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