Aveva gettato la spugna fra le macerie della città martoriata. E se n'era andato puntando il dito contro gli attacchi alla sua persona dal pulpito Rai e il gelido silenzio del governo. Contrordine: Massimo Cialente ritira le dimissioni e torna a fare il sindaco dell'Aquila. In tv solo pochi giorni fa era stato definitivo: «Abbiamo perso». E la sua faccia estenuata, quasi consumata, pareva esprimere quel che le parole potevano solo sfiorare. Stanchezza. Frustrazione per una ricostruzione ferma al palo della burocrazia e dei finanziamenti col contagocce. E poi la rabbia e la vergogna per l'inchiesta che aveva travolto la sua giunta con quattro arresti per le mazzette sul sisma. Davvero, una stagione sembrava giunta al capolinea con la scoperta, imbarazzante, che le stecche erano gradite anche a sinistra. Ma ecco il nuovo colpo di scena: Cialente ci ha ripensato ed è tornato sui suoi passi. Postilla strategica: in giunta, come vicesindaco, entra addirittura un magistrato in pensione, quel Nicola Trifuoggi che tutti ricordano per un celebre fuori onda con Gianfranco Fini. In quel colloquio, captato dai microfoni nelle pause di un convegno, si parlava, tanto per cambiare, di Silvio Berlusconi. E Fini si era lasciato sfuggire critiche affilate: «L'uomo confonde il consenso che ovviamente ha e che lo legittima a governare, con una sorta di immunità». Trifuoggi, allora procuratore a Pescara, gli aveva fatto da spalla con un commento tarato sulla stessa lunghezza d'onda: «È nato con qualche millennio di ritardo, voleva fare l'imperatore romano».
Ora Trifuoggi rafforzerà la traballante giunta Democratica, si occuperà naturalmente di legalità e trasparenza, vigilerà sugli appetitosissimi appalti necessari per ridare vita a una città ferita. Insomma, il suo sarà una sorta di commissariamento e in qualche modo la sua figura sarà una polizza sulla vita per il sindaco. Cialente, in grande difficoltà, cerca dunque di rilanciare la sua immagine appannata e di coprirsi le spalle. In conferenza stampa, spiega che è stata la gente dell'Aquila a convincerlo a fare dietrofront: «Ho ricevuto centinaia di mail e perfino mazzi di fiori perché tornassi indietro sui miei passi». E poi c'è stato un episodio che l'ha scosso. «Una donna - racconta il primo cittadino che aveva già annunciato il suo ritorno alla professione medica - mi ha fermato con la sua famiglia mentre stavo andando a lavorare in ospedale e mi ha apostrofato: Ma dov'è il suo senso di responsabilità?. Questa frase mi ha fatto riflettere. Questa non è la città del magna magna come qualche importante organo di informazione ha voluto far credere». Insomma, Cialente ha il problema di mettersi d'accordo con se stesso. Prima sostiene che la città è persa, fuori controllo, mangiata dall'avidità di speculatori senza scrupoli, poi ci ripensa e racconta che L'Aquila ha un'immagine pessima ma immeritata. Perché è meglio di come appare. E dunque dopo un breve gioco dell'oca si ripresenta alla casella di partenza, spalleggiato dal neo superassessore in toga. Contorsioni che non aiutano a capire, come lascia francamente perplessi sapere che Cialente ha capitolato dopo aver constatato l'affetto dei suoi concittadini. Speriamo che capriole e manovre tattiche siano finite. C'è un centro storico, carico di arte e storia, da ricostruire e c'è da lottare, come sempre in Italia, contro tanti nemici fra loro alleati: la penuria di fondi, per carità, ma poi anche il groviglio delle competenze incrociate, i vincoli di tutti i generi, le rivalità fra le diverse autorità, la burocrazia e il benaltrismo.
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