Il demone della scrittura pare abbia posseduto William Peter Blatty fin da ragazzino. Ma nessuno si sarebbe mai immaginato che nel 1970 sarebbe arrivato a scandalizzare l’opinione pubblica con un romanzo horror come L’esorcista, che avrebbe aperto le porte al genere dei thriller d’impianto religioso, arrivando a vendere oltre sei milioni di copie, e che si sarebbe trasformato nel 1973, grazie alla regia di William Friedkin, in uno dei più grandi e inquietanti blockbuster della storia del cinema. E l’ottantunenne scrittore (il cui classico L’esorcista viene ristampato in questi giorni in Italia da Fazi con una prefazione di Edoardo Nesi) così ci ricorda il suo passaggio dalla commedia brillante all’horror: «C’è stato un periodo nella storia di Hollywood in cui le commedie non andavano affatto di moda. Ed io ero uno sceneggiatore conosciuto per le sue commedie terribilmente farsesche; difficile riciclarmi come scrittore drammatico. Ragionavo sull’idea di un romanzo incentrato sulla possessione demoniaca dai tempi dell’università, più con l’intento di mandare un messaggio apostolico che per diventare ricco e famoso. Avendo ormai parecchio tempo libero a disposizione, decisi che era arrivato il momento di scrivere quel libro».
Sceneggiando Uno sparo nel buio lei ha dato l’avvio alla saga della Pantera Rosa. Quanto la divertì quel progetto?
«È impossibile non divertirsi quando Peter Sellers si aggira attorno alla tua macchina per scrivere notte e giorno! A Londra alloggiavamo in tre suites comunicanti al Dorchester Hotel e Peter veniva a sbirciare i miei fogli e spesso cadeva letteralmente a terra in preda a un riso irrefrenabile».
L’esorcista ha un folgorante prologo ambientato in Irak.
«Durante gli anni ’60 mi trovavo in Libano, dove lavoravo per l’Information Service degli Stati Uniti. Mi capitò di visitare un sito archeologico dove alcuni operai stavano caricando con un montacarichi una figura umanoide grande più o meno come la statua di Pazuzu nel film tratto dal mio libro. Quando cominciai ad accumulare elementi per il romanzo, scoprii la foto di una statuetta del demone assiro Pazuzu in un libro di saggi sul diavolo intitolato Satana e scritto da un autore appartenente all’ordine cattolico dei Padri del Deserto. Immaginai di usarlo come ispirazione per il demonio che fronteggia Merrin in un precedente esorcismo in Medioriente e che ritorna a combatterlo di nuovo ne L’esorcista. Siamo di fronte a una battaglia antica quanto l’umanità».
Quanto la influenzò per la creazione della sua storia l’aver studiato un caso realmente accaduto di possessione demoniaca?
«Nel 1949 avevo letto un articolo sul Washington Post che parlava di un quattordicenne che era stato liberato dalla possessione diabolica grazie all’intervento di un prete cattolico. Ne fui molto impressionato: mi sembrò incredibile che anche ai miei tempi potesse esserci una prova evidente della trascendenza. Se c’erano dei demoni, allora esistevano anche gli angeli e una vita ultraterrena. Cominciai così a documentarmi. Ma nessuno dei miei referenti condivideva il mio entusiasmo, nemmeno il mio editore di allora, Doubleday. Abbandonai il progetto, fino a quando, nel ’67, conobbi per caso il direttore di Bantam Books, Marc Jaffe. Mi propose di pubblicare il libro presso di lui».
Come si è documentato sulla figura degli esorcisti. Ne ha incontrato qualcuno?
«Essendo io una specie di San Tommaso, avevo bisogno di risalire a casi di possessione diabolica provati e dimostrabili. Mi sono concentrato sulla letteratura relativa alla possessione, ma dei casi citati molti erano spiegabili come cattive interpretazioni dei sintomi della psicosi. Io volevo incontrare testimoni. Cominciai a chiamare alcuni amici gesuiti. Mi parlarono di un prete esorcista che riuscii a rintracciare. In qualche modo, nonostante il suo riserbo, riuscii a trovare una copia del diario che tenne su un suo esorcismo e lo lessi. E posso oggi affermare che, al di là di ogni dubbio, è una meticolosa e affidabile testimonianza oculare di un fenomeno paranormale».
Come reagì la Chiesa a un libro e a un film così scioccanti?
«La reazione della stampa cattolica fu ampia e favorevole. La Civiltà Cattolica fu il primo a parlarne, con una recensione molto positiva di Domenico Mondrone. Il Catholic News l’organo ufficiale dell’Arcidiocesi di New York, scrisse “L’Esorcista è un film profondamente spirituale” e il molto conservatore Triumph Magazine pubblicò una critica entusiastica».
Ci furono eventi misteriosi che costellarono la realizzazione del film?
«Una “maledizione” sembrava aleggiare sul set. Dopo due giorni di riprese, un corto circuito provocò un incendio che distrusse buona parte del set. Durante la lavorazione morirono nove persone, tra cui il fratello di Max von Sydow, il nonno di Linda Blair, il figlio appena nato di un tecnico e l’addetto alla refrigerazione del set; morì anche l’attore Jack MacGowran, il cui personaggio muore anch’esso nel film. Sparì per qualche tempo la gigantesca statua di Pazuzu che, spedita in Irak per le riprese del prologo, finì per qualche oscuro motivo a Hong Kong».
Si emoziona ancora a sentire il tema musicale di Mike Oldfield che venne scelto per accompagnare il film?
«Francamente non più. Mi spaventano però ancora le urla e i suoni utilizzati nella colonna sonora del film per segnalare la presenza del demonio: provenivano dalla registrazione di un esorcismo praticato in Italia. Erano e sono ancora per me terrorizzanti».
Non le sarebbe piaciuto tornare a lavorare con William Friedkin per qualche altro progetto?
«Abbiamo cercato di lavorare ancora assieme per ben 35 anni. Siamo quasi riusciti a farlo per la trasposizione del mio romanzo Elsewhere e oggi, finalmente, sembra che Friedkin dirigerà una miniserie a partire dalla mia risceneggiatura del primo Esorcista, che includerà una serie di storie secondarie. Al momento stiamo cercando un produttore. Friedkin e io siamo davvero grandi amici. Durante la realizzazione de L’Esorcista urlò che non intendeva produrre, e cito, “uno spot per la Chiesa Cattolica”. Oggi dorme con una copia del Vangelo di San Marco accanto al letto.
Qual è la cosa che in assolto le fa più paura?
«Venire a conoscenza che il ristorante Gusto di Roma ha eliminato la pizza n. 3 dal proprio menu!».
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