L’angelo custode di PIO XII

Esce una biografia (con episodi inediti) della tedesca suor Pascalina. inflessibile e autoritaria, dal 1918 al '58 fu l'ombra si Papa Pacelli. Fra pettegolezzi e gelosie, ricoprì un ruolo decisivo per il Pontefice

L’angelo custode di PIO XII

L’hanno definita «dama nera» e «papessa». Ci mancava solo «signora del sacro palazzo». L’hanno dipinta come una donna potentissima, in grado di influenzare direttamente le decisioni del Pontefice. È Pascalina Lehnert, la suora che governava l’appartamento di Pio XII, protagonista della biografia scritta da Marta Schad (La signora del sacro palazzo, San Paolo, pagg. 284, euro 18, traduzione di Viviana De Marco) in uscita nei prossimi giorni nelle librerie italiane: un libro serio e documentato, al di là del titolo, cambiato rispetto all’edizione tedesca: ma si sa che su Pio XII e la sua corte si può giocare al tiro al piccione - viene più facile anche perché il bersaglio è una donna - mentre con altri potenti e influenti segretari di Pontefici la riverenza è d’obbligo.

Chi era dunque la bavarese Josephine Lehnert, classe 1894, settima di dodici figli, postulante delle suore Maestre della Santa Croce a diciannove anni, la cui vita s’incrociò casualmente, nel 1918, con quella dell’arcivescovo Eugenio Pacelli, nunzio apostolico a Monaco di Baviera? Tanto si è scritto e tanto si è sussurrato su questo personaggio un po’ mitico e mitizzato, quasi eminenza grigia in gonnella, via più sicura e diretta per arrivare all’uomo che nel marzo 1939 sarebbe divenuto Pio XII. Grazie a lettere e testimonianze inedite, l’autrice dimostra ad esempio come l’entrata in servizio di Pascalina da Pacelli avvenne in modo casuale: fu la superiora dell’istituto di Altötting a spedirla presso la nunziatura insieme ad altre due consorelle, con la prospettiva di lasciarla lì per un paio di mesi, ad avviare il lavoro nella residenza dell’arcivescovo. Da allora la «signora del sacro palazzo» non abbandonerà più Pacelli, divenendone la fedele governante.

Nel 1921, ringraziando la superiora delle suore a Menzingen, il nunzio scrive di Pascalina: «Ella riesce a togliermi molte preoccupazioni alleviando il mio lavoro». Ecco svelato il «segreto» di quel rapporto: lei, religiosa dai modi un po’ spicci e autoritari, era riuscita a diventare la vera perpetua di Pacelli, uomo sensibile e riflessivo, con parecchi disturbi di stomaco. Lei regolava l’orario dei pasti, ne sorvegliava la cucina, lo aiutava a sbrigare la corrispondenza, «nel corso degli anni imparò a conoscere il Papa così bene, che riusciva a indovinare ogni suo piccolo desiderio, anche inespresso».

Della sua proverbiale inflessibilità sarà testimone il Segretario di Stato americano John Foster Dulles, che una volta, mentre era in udienza - scrive l’autrice - la vide arrivare e dire: «Santo Padre, ma lei deve mangiare!». Pio XII aveva risposto: «Giustissimo suor Pascalina, non voglio che la minestra si raffreddi!». Il limite di tempo dell’udienza era passato da un pezzo. Allora il Papa si alzò, sorrise e spiegò a Foster Dulles: «Nessuna potenza della terra potrebbe far muovere la nostra buona suor Pascalina nemmeno di un passo, quando la minestra sta sul tavolo». «Quelli che non apprezzavano la sua forza e la sua energia, l’avevano soprannominata “il caporale tedesco”», osserva la Schad, documentando screzi anche all’interno del gruppo di suore che accudivano il Papa, con lamentele per l’eccessiva rigidità della religiosa.

Viene ricostruita anche la genesi delle «voci» contro la suora, che aveva buoni rapporti con la famiglia del fratello del Papa e i suoi nipoti, meno buoni invece con la famiglia della sorella, la quale avrebbe ambito lei stessa - pare - al ruolo di governante: sostenne infatti che Pacelli subisse l’influenza della religiosa non riuscendo a disfarsene, e sulla base di una fotografia ipotizzò che la stessa Pascalina s’intrattenesse in atteggiamenti troppo amichevoli con il conte Enrico Galeazzi, collaboratore di fiducia del Papa, cercando invano di metterla in cattiva luce agli occhi del Pontefice.

In realtà, sia da nunzio, sia da cardinale e poi da Papa, Eugenio Pacelli trovò un’intesa perfetta con madre Pascalina: volle che rimanesse a Monaco, che si trasferisse a Berlino, che lo seguisse a Roma, guidando le altre consorelle che si occupavano della cucina e del guardaroba. Volle che lo accompagnasse, ed è una delle novità che emergono dal libro, anche nel corso dei viaggi che fece negli anni Trenta da cardinale Segretario di Stato: in Argentina, per il Congresso eucaristico mondiale, quando allora Pascalina viaggiò con il seguito, pur non comparendo mai in alcuna fotografia; e negli Stati Uniti, dove lei giunse prima del cardinale e ripartì dopo che lui aveva già fatto ritorno a Roma.

La biografia non aggiunge dettagli nuovi sull’annosa questione dei «silenzi» di Pio XII: Pascalina testimonia le ragioni dell’atteggiamento del Pontefice, convinto che qualsiasi appello pubblico non solo non avrebbe fermato Hitler o risolto la situazione degli ebrei, ma l’avrebbe peggiorata.

Documenta però in modo inequivocabile la grande azione caritativa messa in atto nel periodo bellico e in quello della ricostruzione. Un’azione che aveva proprio nella fedelissima suora, che gestiva il magazzino papale, uno dei suoi principali fulcri.

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