Diciamola semplice. Preferireste che un ricco signore svuotasse le proprie tasche di 100mila euro per consegnarli alle Finanze o per comprarsi un bene di lusso? Purtroppo c’è da temere che la maggioranza degli italiani preferisca la soluzione uno. Meglio tassare che spendere. È esattamente il principio fiscale dietro al quale si muove il governo Monti. Un principio tanto condiviso quanto sbagliato che si regge su due assunti perversi. Il primo è che i ricchi rappresentano delle brutte bestie. Stabilire chi è ricco è, ovviamente, del tutto arbitrario. Ma tant’è. I ricchi, in genere, sono coloro che guadagnano più di noi. E comunque un ricco è da condannare per il semplice fatto che, generalmente, si presume non si sia meritato ciò che guadagna. Anche in questo caso tutti si meritano il proprio stipendio, tranne i vicini che guadagnano di più. Il nostro sistema fiscale è basato su una certa progressività (anche se non fortissima, posto che molte imposte sono prelevate sui consumi) che alimenta questa voglia di giustizia sociale. Ma essa, la progressività e dunque la giustizia, non basta mai. Il secondo assunto perverso è che, siccome in Italia c’è un’alta evasione (anche in questo caso ad evadere sono sempre gli altri), chi compra un bene soi-disant di lusso deve essere colpito da un’extra tassa. Se un ricco (ma anche meno ricco) signore paga fino all’ultimo centesimo di tasse e poi si azzarda a comprare una lussuosa berlina è da tartassare. Poiché il suo acquisto di lusso è diventato ipso facto un segale di potenziale evasione.
Questa logica è tanto perversa, quanto diffusa nella recente manovra fiscale. Chiunque abbia in Italia una delle 42mila barche che stazionano nei porti tricolori deve ora pagare una nuova imposta. L’intento è formalmente redistributivo. E anche in questo si commette un errore, poiché non si capisce secondo quale standard si possa considerare ricco il proprietario, ad esempio, di una bagnarola a vela, di quindici anni e per di più acquistata usata. Ma il retropensiero è giustizialista, punitivo. La presunzione, non detta, è che, siccome lo Stato non riesce a combattere l’evasione fiscale, si combattono i presunti simboli della stessa. Ecco che ti tasso barche e auto di lusso. E anche in quest’ultimo caso con paradossi incredibili, per cui oggi ci sono auto che hanno un valore inferiore a quello del bollo i cui proprietari saranno costretti a pagare grazie a Monti (e a Berlusconi, che per primo inaugurò la sciocchezza del superbollo).
Ritorniamo così alla filosofia da cui siamo partiti. In un Paese liberale e che ha voglia di crescere e non chiudersi in se stesso si incoraggiano i consumi e non si ammazzano. Si mettono gli italiani nelle condizioni di comprarsi una barca sempre più bella, semmai. E non in quella di doversi vendere la propria perché impossibilitati a pagarne le spese.
Si dirà: siamo in crisi. Chi ha una barca sta meglio di un disoccupato. Affermazione difficilmente contestabile. Ma la soluzione per occupare un disoccupato, purtroppo, non è così semplice come quella pensata, cioè di espropriare il relativamente più ricco per sostenere il più povero.
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