Il quartetto Cetra contro Gregory Peck. Secondo voi come poteva andare a finire? Elementare, vinceva la Vespa, grazie a Vacanze romane, all’Audrey nel senso di Hepburn, al Colosseo come sfondo e all’americano brillantinato. E la Lambretta? Lambrettwist, cantavano i Cetra, spot di settore per tenere in vita il motoveicolo che soffriva la crisi, la concorrenza, la tendenza, la moda, tutta quella roba lì per la quale alla fine ha dovuto arrendersi, anno millenovecentosettantuno, traslocando in India e oggi tornando a casa «made in China».
In verità a Milano, dico Milano e dintorni, non c’era partita vera tra vespisti e lambrettisti, vincevano i secondi con tre o quattro giri di vantaggio, non soltanto per la velocità che premiava l’articolo nato là dove c’era l’erba e oggi ci sono rottami arruginiti, vetrate in frantumi, vicino al fiume Lambro, quartiere di Lambrate, da cui e per cui il famoso Ferdinando Innocenti chiamò il veicolo Lambretta. La Vespa era più frikkettona, di gran moda, roba da centrosud, sole e gita ai castelli, qui tra il nebbiun, il magun e il panettun, veniva meglio quella specie di Lego dei tubi e delle cromatura (Innocenti era imprenditore nel settore tubi, il ponteggio della Cappella Sistina era roba della sua fabbrica), meglio il motore centrale dell’accrocco laterale con improbabile tenuta di strada della nemica Piaggio. Il Lambrettista era, dunque, il lavoratore medio che, non potendosi ancora permettere la Fiat o affini puntava sul due posti a cielo aperto, con annesso portapacchi. Nel millenovecentoquarantasette lo stesso lavoratore, dico operaio, portava a casa ventimila lire al mese, la prima Lambretta aveva un costo di centocinquantaseimila, il boom che arrivò a produrre un milione di articoli all’anno, fece abbassare la cifra a centododicimila sette anni dopo. Lungo i Navigli, all’Ortica, sito di Milano, ma a Santa Rita o Ferriere, sito di Torino, contavi più Lambrette che Vespe, a seguire Cinquecento, Seicento, qualche Appia dell’elegante Lancia, motocarri, torpedoni e biciclette.
Giorgio Gaber, come da foto inquietante, da cento punti sulla patente, circolava per Milano su Lambretta rigorosamente targata, eviterei il dettaglio sulla postura del Cerruti Gino. Dico Cerruti perchè nella Ballata omonima, scritta da Gaber, il tipo del Giambellino era un mago, non aveva mai una lira, non sgobbava mai e una sera in una strada scura, occhio c’è una lambretta, fingendo di non aver paura il Cerruti monta in fretta...Va da sè che si becca tre mesi al terzo raggio e la Lambretta torna al proprietario legittimo. Al Peck era capitata una sorte ben diversa.
Erano anni di magra e di chitarrate, si puntava al Gilera o al Morini, al Ducati, nel senso di motociclette vere ma non era roba per andare a lavorare semmai in sciambola, dunque la Lambretta serviva alla bisogna e poi era vendibile in famiglia a differenza delle superdotate appena ricordate. Fatto il pieno di miscela, data la doverosa sgasata con nuvoletta celeste ma niente affatto celestiale, si montava in due, con eventuale figliolanza tra le gambe, un rischio permesso, senza caschi e senza autorizzazione, capello al vento, polverina di smog, fettoni di nebbia, si poteva viaggiare anche verso il mare, accelerando anche a centoventi, senza sbandare, a meno che dietro qualcuno non si sedesse come quel Gaber lì.
I vespisti no, avevano la postura da divi, come film insegnava, sicuri di essere visti, individuati, segnalati, indicati, invidiati. Un popolo distinto, diverso, meno popolare e popolano, dato che si sarebbe però invertito, proprio ribaltato nel finire del secolo, quando scomparsa ormai, ahimè, la Lambretta, finita in Oriente o nel bellissimo museo di Rodano, alla periferia est di Milano, la Vespa è diventata di colpo un cult, il vintage da collezionisti, come il juke box o i dischi in vinile, la radio brionvega e il fiasco di Chianti.
Ora anche un cimelio della nostra belle époque finisce all’asta, on line si deve dire, avanti c’è posta. Gaber cantava: gli amici nel futuro quando parleran del Gino diran che è un tipo duro. Come la sua Lambretta. Chi l’ha vista?
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