Uno degli aspetti più interessanti di Homo Deus di Yuval Noah Harari è che pone una sfida al liberalismo con armi molto astute. Harari domina le sfide poste dalla rivoluzione digitale come pochi. Non le inquadra nella banale matrice privacy-interesse pubblico. La tesi è che il liberalismo oggi subisce tre minacce.
L'«invasione algoritmica» rende inutili gli uomini per le due loro attività caratteristiche: lavoro e guerra. Quest'ultima verrà fatta dai droni o da attacchi cyber. Il lavoro non ci sarà più come lo conosciamo oggi. Ingegneri, medici, avvocati, saranno sostituiti da algoritmi. Non è la fantasia di Terminator, in cui un super chip ci distrugge, ma è il mondo degli algoritmi in cui può, secondo Harari, essere suddivisa tutta l'attività umana. Seconda minaccia: possiamo pure concedere l'esigenza che gli esseri umani continuino a essere utili, ma non certo come individui, bensì come collettività. Noi stessi siamo fatti da algoritmi, biologici, ma pur sempre algoritmi. Un superalgoritmo esterno potrebbe conoscerci meglio di quanto noi stessi ci conosciamo e a esso non i singoli, ma la collettività si potrebbe affidare. Follie? Un sensore messo nel nostro corpo sa meglio di noi quanta insulina ci serve, se siamo diabetici. Orologi e gadget vari in prospettiva ci potranno dire se è meglio per il nostro fisico fare una camminata o andare a giocare a tennis. Angelina Jolie si è fatta operare in funzione di una predisposizione genetica individuata da un algoritmo. E così via. Ma la cosa non finisce qui. Una ricerca condotta su alcuni volontari iscritti a Facebook ha messo in evidenza come quella piattaforma azzeccasse le risposte dei volontari a un questionario loro sottoposto su questioni varie. La precisione predittiva di Facebook aumentava all'aumentare dei like messi dai volontari sulle bacheche. Oltre un certo numero di like, Facebook, cioè il suo algoritmo, ci conosce meglio del nostro coniuge. Terza e ultima minaccia: «il sistema continuerà a considerare preziosi alcuni singoli individui, ma questi costituiranno una nuova élite di superuomini potenziati, non la massa della popolazione».
Vi devo confessare che il libro è affascinante, pieno di casi concreti. E come qualche volta, ma forse non a sufficienza, abbiamo scritto in questa rubrichetta, le sfide del liberalismo non sono più quelle ottocentesche, nate e forgiate sulla rivoluzione industriale. C'è solo un aspetto che non convince di Homo Deus, in fondo il più importante. Quando ci si trova immersi in una rivoluzione si tende, anche per la sua capacità distruttiva dei modelli del passato, a ritenere che il mondo sia destinato a finire. Si ha un certo approccio deterministico: scompariranno i lavori tradizionali a beneficio dei robot e degli algoritmi. Può essere.
Ma nessuno può prevedere come l'uomo, l'individuo, questo straordinario impasto di intelligenza e coscienza, reagisca, si modifichi, si adatti. Come insomma trovi una nuova dimensione. Non vi fidate di chi lo sa per voi.
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