Un giallo abbagliante, come solo i gialli di Van Gogh sanno essere. È quello che avvolge il rapporto, in bilico fra feroce invidia e amore sublime, fra due tra i pittori più celebri della modernità. Ora, una nuova pennellata di colore rosso-sangue arricchisce il quadro della loro tempestosa relazione: smentendo una verità ormai archiviata dalla storia dell’arte, un libro-rivelazione avanza l’ipotesi che non fu Vincent Van Gogh a tagliarsi in un impeto di follia l’orecchio sinistro, destinato a caratterizzare celebri e oggi quotatissimi autoritratti del pittore bendato. Fu invece l’amico e rivale (e amante?) Paul Gauguin a colpirlo, con una sciabola. Prima di stringere con Vincent un diabolico patto del silenzio e quindi darsi alla fuga.
Per oltre un secolo la versione raccontata dalle biografie e dai libri di storia è quella che vede Vincent Van Gogh, nella primavera del 1888, partire, assetato di luce, per Arles, in Provenza, luogo in cui «esploderà» la sua pittura: affitta un piccolo appartamento in Place Lamartine (la celebre «casa gialla»), dove studia e dipinge. E dove, dopo numerosi inviti, lo raggiunge, a ottobre, l’amico Paul Gauguin. In precario equilibrio nervoso il primo, più saldo e meno eccitabile il secondo, i due artisti lavorano insieme, ma dopo le prime settimane di apparente serenità, i rapporti si incrinano. Drammaticamente. «Vincent ed io non possiamo assolutamente vivere insieme per incompatibilità di carattere - scrive Gauguin a Theo Van Gogh, fratello di Vincent, il 20 dicembre - ed entrambi abbiamo bisogno di tranquillità. È un uomo di notevole intelligenza, lo rispetto, e mi dispiace dovermene andare; ma, ripeto, è necessario». Il 23 dicembre, secondo quanto poi racconterà Gauguin, Van Gogh tenta di colpirlo con un rasoio, mentre lui, spaventato, lascia la casa andando a dormire in albergo. Durante la notte Vincent, in preda al delirio, si taglia il lobo dell’orecchio sinistro (il destro negli autoritratti dipinti allo specchio), lo avvolge in un giornale che poi consegna a Rachel, una prostituta che frequentavano entrambi i pittori, e infine sviene nel suo letto, dove lo ritroveranno il mattino successivo (quando Gauguin sta già scappando a Parigi). La ferita, secondo le interpretazioni dei critici, segna l’irrimediabile discesa verso la follia che sette mesi più tardi, nel luglio 1890, avrebbe portato il maestro olandese al suicidio, con un colpo di pistola.
Così la versione ufficiale. Ora due studiosi tedeschi, Hans Kaufmann e Rita Wildegans, nel loro libro uscito in Germania con il titolo Van Goghs Ohr, Paul Gauguin und der Pakt des Schweigens (L’orecchio di Van Gogh, Paul Gauguin e il patto del silenzio) rileggono il «dramma di Arles» alla luce di una nuova «verità», suffragata dall’esame dei rapporti di polizia dell’epoca e vecchi ritagli di stampa. Gauguin e Van Gogh quella notte litigarono violentemente: forse per divergenze artistiche, forse per contendersi nel bordello della città i favori di Rachel, molto più probabilmente perché il francese voleva andarsene mentre il pittore olandese non accettava l’idea di essere abbandonato. Sta di fatto che per difendersi dall’aggressione di Vincent, Gauguin, abile spadaccino, lo colpisce all’orecchio con un fendente della sua spada. Poi, prima di fuggire, inventa la versione dell’automutilazione, che Vincent sostiene anche davanti alla polizia e ai medici dell’ospedale dove rimane ricoverato tre giorni. Per tacito assenso, non confesserà mai la verità, nella speranza di convincere l’amico a continuare la vita in comune («perché lo adorava», scrivono i due storici tedeschi).
Il pittore dei Girasoli e della Notte stellata, insomma, non era pazzo, come si è creduto per oltre un secolo, e come hanno sostenuto gli stessi Georges Bataille e Antoine Artaud che negli anni Trenta del ’900 lessero nel gesto di Van Gogh un significato «sacrificale» che rendeva la follia un elemento essenziale per l’arte moderna, o come raccontò anche il film-culto Lust for Life (Brama di vivere), del 1956, in cui il regista Vincent Minnelli affida a Kirk Douglas il compito di tagliarsi l’orecchio (fuori scena). La mutilazione più celebre della storia dell’arte, “semplicemente”, è la conseguenza di un banale litigio... Sul quale, detto per inciso, più di un esperto mantiene il dubbio. Pascal Bonafoux, specialista francese di Van Gogh, ha definito la nuova versione «ridicola se non aberrante».
Critico anche Louis van Tilborgh, incaricato della ricerca scientifica al Museo Van Gogh di Amsterdam. Mentre per la storica dell’arte Nina Zimmer «è una tesi plausibile, ma come tutte le altre ipotesi manca di prove certe». Il giallo, non a caso, è un colore che abbaglia l’occhio, nascondendo qualsiasi verità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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