Inizio anni Sessanta, periodo magico e irripetibile per l'Italia: la lira aveva da poco conquistato l'Oscar della moneta più stabile, Roma aveva stupito il mondo con le sue Olimpiadi e il Paese intero era in pieno boom. Cambiavano usi e costumi, gli italiani grazie anche a Carosello iniziavano a far entrare nelle loro case gli elettrodomestici, imparavano a lavarsi, profumarsi, deodorarsi. E soprattutto a spazzolarsi i denti con un prodotto rinnovato proprio in quegli anni: il dentifricio al fluoro che giusto 50 anni fa, anche se presente sul mercato da un decennio, finalmente vide riconosciuta la sua efficacia dalla «American dental association».
Uno dei pionieri fu il dottor Nicola Ceccarelli, figlio di Clemente, ex colonnello del Savoia Cavalleria che, congedato all'inizio del '900, tornò alla farmacia di famiglia nelle Marche. Qui mise a frutto la sua laurea in chimica farmaceutica per dar vita una serie di prodotti unguenti, callifughi, elisir, collutori e creme che i clienti, proprio per il suo passato militare chiamavano «ricette del capitano», togliendoli di colpo tre gradi sulle spalline. Ma poco importa perché tra questi c'era anche la «Pasta del Capitano» per sbiancare i denti. Il figlio, prese in mano l'azienda, decise di usare anche l'arma di «Carosello» per aumentare le vendite. Seguendo passo passo ogni fase di lavorazione degli sketch. Così quando sentì Giorgia Moll magnificare il suo prodotto fece irruzione del set dicendo: «Non esageriamo! È un buon dentifricio, anzi ottimo, ma non miracoloso». Il regista si rese conto dell'efficacia dello slogan e della paterna e corpulenta figura del dotto Nicola che ogni scenetta si concludeva con l'irruzione del patron della Ciccarelli. Antesignano dei Giovanni Rana e dei Francesco Amadori. Ma l'Italia del dentifricio non finiva con Ciccarelli, «Chlorodont» reagì all'offensiva ingaggiando l'attrice Virna Lisi. Che come «Bianca Chedenti» diceva sempre la verità mettendo in difficoltà il marito Enzo Garinei. Ma venendo sempre perdonata perché quando si rendeva conto della gaffe e chiedeva «Ho detto qualcosa che non va?» ricevendo come puntuale risposta «Con quella bocca può dire quello che vuole. Chlorodont?». E la voce fuori campo: «Si, Chlorodont, il primo dentifricio al fluoro». Mentre Carlo Dapporto alla fine di ogni suo scenetta invitava la sua spalla, angheriata per tutta la dura dello lo spot, a sorridere se voleva avere successo con il dentifricio «Durban's».
Il fluoro come additivo ai normali dentifricio rappresentò l'ultimo dei tanti cambiamenti di un prodotto in uso fin dall'antichità, anche se con ricette che ora farebbero inorridire. Gli anti egizi usavano una pasta di sale, pepe, foglie di menta e fiori d'iris, mentre i romani mischiavano sale, aceto, miele e schegge di vetro, una soluzione che sostituì un miscela a base di urina, dalle note proprietà antinfiammatorie. E prima ancora, gli ominidi del Quaternario sembra adoperassero un composto di ossa e gusci d'uovo schiacciati. I secoli passano e si arriva ai primi dell'Ottocento, quando in Inghilterra all'igiene dei denti si provvede con un miscuglio di sale, calcio, carbone e perfino polvere di mattone. Nel 1824, finalmente, Peabody aggiunge a quell'amalgama un detergente, e qualche decennio dopo arriva, con John Harris, l'aggiunta di gesso.
Il fluoro fa la sua comparsa per la prima volta nel 1914, ma viene bocciato dall'American dental association (Ada). Gli esperti, soprattutto quelli della Procter & Gamble, non si danno per vinti e avviano nuovi programmi di ricerca che nel 1950 cominciano a dare i primi frutti.
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