«La mia tossina anti cancro»

Quando avrete finito di leggere questa intervista, non cercate di contattarmi, neppure se il più caro dei vostri congiunti fosse condannato a morire di cancro: io, purtroppo, non posso far niente per lui. Neanche l’intervistato può far niente per lui: il lotto gratuito di Crm 197, un derivato della tossina difterica in grado in molti casi di bloccare l’avanzata del tumore e a volte di farlo scomparire, è finito nel 2003 e il dottor Silvio Buzzi proprio non saprebbe come e dove procurarsene dell’altro.
Solo il ministro della Salute può far qualcosa: credere a questa scoperta scientifica, supplicare la Chiron vaccines di tornare a produrre oggi stesso il Crm 197 nel proprio stabilimento di Siena e poi, dal momento che il preparato è assolutamente privo di tossicità, ordinare ai medici d’iniettarlo d’ufficio a tutti i malati di cancro ricoverati presso le strutture pubbliche. Non occorre privarli delle cure convenzionali (chirurgia, chemioterapia, radioterapia). Basta solo una puntura. In aggiunta. Zero rischi.
Qui non stiamo parlando del siero Bonifacio estratto dalle capre, della terapia Di Bella o del metodo Simoncini che considera il cancro un fungo da estirpare col bicarbornato. La validità terapeutica del Crm 197 è già stata comprovata da studi rigorosi a firma del dottor Buzzi pubblicati fin dal 1973 su Cancer Research, la rivista ufficiale di quell’American association for cancer research che raduna i massimi oncologi del mondo e che ha cooptato lo studioso italiano fra i suoi membri attivi, su Cancer Immunology and Immunotherapy e sul britannico The Lancet, che è dal 1823 la Cassazione dei clinici.
Da un episodio accaduto 40 anni orsono in sala operatoria – una nuvola di talco che precipitava dentro un addome aperto – il dottor Buzzi ha tratto una folgorante intuizione sulla quale stanno ora lavorando le università di Osaka, Sapporo e Fukuoka con un progetto finanziato dal governo giapponese. Purtroppo ha commesso un errore: «Come l’uovo viene deposto nel nido, è naturale che una nuova scoperta di medicina avvenga in luoghi adeguati, per mezzi culturali, strumentali e umani, ad affrontare il problema». Invece il neurologo e psichiatra, oggi settantacinquenne, il suo uovo fuori dal cesto l’ha scodellato in perfetta solitudine nell’ambulatorio della sua villetta alla periferia di Ravenna e l’ha covato con ardente passione, aiutato solo dalla moglie Luciana Baroncini, biologa, dai figli Giorgio e Anna Maria, entrambi neurologi come lui, e dall’ultimogenita Silva, matematica.
Il diario privato di quest’uomo «cui non sono state risparmiate molte ingiustizie, che ha lavorato nel più assoluto silenzio senza cercare appoggi politici, senza entrare nel perverso “circolo mediatico” dei salotti televisivi per trovare facile pubblicità», come testimonia Luigi Bazzoli, per 15 anni direttore dell’inserto Salute del Corriere della Sera, è ora affidato alle 270 pagine di un libro intitolato Il talco e la lampada (Ares), che «dovrebbe figurare di diritto fra i testi di insegnamento universitario», dice Bazzoli.
Per la verità il dottor Buzzi provò a chiedere a qualche politico di aprirgli le porte di almeno un ospedale della Regione per esperimenti, esami di laboratorio e Tac; lo implorò affinché convincesse la Sclavo di Siena, poi assorbita dalla Chiron californiana, a fornirgli qualche fiala di Crm 197. Immaginate quale udienza poteva ottenere, un cattolico praticante, presso le autorità dell’Emilia Romagna.
A quel punto avrebbe dovuto chiedere aiuto a Raul Gardini, che all’epoca era uno dei potenti d’Italia e teneva un piede nell’industria chimico-farmaceutica. Buzzi confessa di non averci nemmeno mai pensato. Eppure erano amici d’infanzia, gli curava la moglie Idina e la suocera e alla fine era diventato anche il suo psichiatra di fiducia, tanto che Gardini arrivò a confidargli, nei momenti più bui dello scandalo Enimont: «A me i num ciapa miga», a me non mi prendono mica, e infatti morì suicida.
A differenza di Edward Jenner, che il virus del vaiolo lo inoculò al proprio figlio, il medico romagnolo nel 1968 non esitò a provare su di sé, iniettandosela in vena, la tossina difterica: «Mi misi al microscopio con un mio campione di sangue per fare la conta dei globuli bianchi, ma non riuscivo neppure a vederli, tanto era il batticuore». Voleva essere certo che i suoi pazienti fossero al riparo da qualsiasi rischio. Milleduecento ne ha trattati. A distanza di molto tempo, 12 ancora campano, perfettamente guariti dal cancro. Ad almeno 360, dati per spacciati, ha regalato parecchi mesi, spesso qualche anno, di vita.
Che cos’è con precisione il Crm 197?
«Una fotocopia della tossina che provoca la difterite, nella quale è stato sostituito uno solo dei 535 amminoacidi che la compongono. Precisamente quello che la rende nociva».
Su quanti pazienti l’ha provata?
«Il Crm 197 su 200. Ma bisogna aggiungere che sui primi 600 malati, cioè i casi descritti nello studio pubblicato da Cancer Research nell’82, ho iniettato direttamente la tossina difterica intatta. E su altri 400 la tossina bollita, atossica al pari del Crm 197. Sempre con risultati sorprendenti».
Quante volte è riuscito a far funzionare il Crm 197 contro il cancro?
«Nel 30% dei casi ho ottenuto una significativa riduzione del tumore».
Quanto significativa?
«Dal 50% fino alla completa guarigione».
Cioè il tumore scompariva?
«Esatto».
Mi mostri qualche prova.
«Ecco, questa è la cartella clinica di un bambino di 6 mesi, figlio di un collega ospedaliero. Gli diagnosticarono un neuroblastoma resistente alla chemio. Il padre, disperato, mi disse: “Proviamo”. Io non volevo. Gli praticai otto iniezioni. Dopo un anno il piccolo fu sottoposto alla risonanza magnetica all’ospedale di Ferrara, perché qui a Ravenna non abbiamo la Rm. Da Ferrara la risposta tardava ad arrivare. Alla fine capimmo il motivo: il neuroblastoma era sparito e quattro clinici si stavano arrovellando da una settimana su queste immagini senza riuscire a darsi una spiegazione. Oggi il bambino va a scuola, è guarito, non ha più fatto iniezioni».
Da non credere.
«Non è la vittoria sul cancro: solo un contributo alla lotta. Per funzionare il Crm 197 richiede un organismo che mostri una buona capacità di risposta immunologica alla difterite. Andrebbe provato sui pazienti appena operati di tumore, con metastasi limitate ai soli linfonodi. L’ideale sarebbe testarlo su quelli che rifiutano la chemio o non la tollerano. Io ho avuto 26 malati di questo tipo. Il primo fu un contadino di 66 anni. Venne da me nel 1986 con un tumore allo stomaco. Anche le vie linfatiche erano già invase dalle cellule neoplastiche. Lo cacciai di qui tre volte. Alla quarta mi disse: “Se non mi fa quella puntura, la mia morte sarà colpa sua e solo sua!”. Non ci dormii per un paio di notti. Alla fine cedetti. È arrivato a 86 anni. Quando lo incontro me lo rinfaccia bonariamente: “Mi sono salvato per merito mio. Fosse dipeso da lei, sarei già sotto terra da un pezzo”. Nessuno di questi 26 soggetti ha più avuto ricadute».
Perché ha scelto di fare il medico?
«Volevo diventare come il dottor Manson della Cittadella di Cronin. Vengo da una famiglia poverissima. Mio padre era facchino al porto di Ravenna. Per mantenermi all’università lavoravo allo zuccherificio Eridania. La domenica andavo col cane in cerca di tartufi e li vendevo al ristorante Donatello di Bologna. Dalla maturità in avanti ho sempre avuto borse di studio. Quattro giorni dopo la laurea fui arruolato come aiuto di sala operatoria alla casa di cura San Francesco. Ero il manovale del chirurgo Giuseppe Vangelista, da tutti chiamato Vangelo giacché la sua era l’ultima parola, di vita o di morte. Oggi ha 96 anni. Infilava la mano nella pancia, palpava il carcinoma, scuoteva la testa: “Troppo avanti. Chiudi, ragazzo”. E io suturavo. Qualche volta capitava però che il paziente, dopo l’intervento esplorativo, avesse un miglioramento inspiegabile. Per tre o quattro mesi il cancro, anziché avanzare, regrediva. Il dottor Vangelista lo spiegava così: “È la boccata d’aria che diamo al peritoneo”. A me l’affermazione suonava implausibile. E i tumori polmonari, allora, che sono anaerobici, cioè proliferano in assenza di ossigeno? Cominciai a indagare».
Partendo da dove?
«Da un muratore rimandato a casa con un tumore del colon metastatizzato. Andai a trovarlo per dieci anni. Morì d’infarto. Un secondo paziente fu dimesso con un tumore polmonare enorme. Gli restavano poche settimane di vita. Anche questo morì dopo dieci anni. Di ictus».
Entrambi dopo essere usciti dalla sala operatoria?
«Esatto. Tenga conto che a quei tempi non c’erano gli ambienti sterili di oggi. Capitava perciò che il dottor Vangelista si cambiasse i guanti in sala. In una di queste occasioni vidi spandersi nell’aria uno sbuffo del talco che consente al chirurgo d’indossarli più facilmente. Osservavo queste micelle alla luce della lampada scialitica mentre scendevano lente e si depositavano nell’addome squarciato del paziente. Pensai: sarà solo un male? Qualsiasi germe stimola il sistema immunitario. Non a caso i bambini più esposti alla poliomielite erano quelli che abitavano ai piani alti delle case, i più igienici. I loro coetanei che razzolavano nei cortili s’ammalavano di rado».
Come s’arriva alla tossina difterica?
«Un giorno portarono in clinica un trentenne in gravissime condizioni. “Difterite maligna”, sentenziò l’internista. L’infezione è provocata da un bacillo che s’insedia nella gola e da quella sede produce una tossina micidiale che attacca tutti gli organi. Purtroppo il giovane morì. Lì ebbi un lampo: e se fosse il bacillo della difterite che entra nel corpo dei pazienti mentre operiamo sui tumori?».
E come ci entra, scusi?
«È un bacillo ubiquitario. Si trova dappertutto, anche qui, in questo ambulatorio. Solo che le nuove generazioni ne sono immuni, essendo la vaccinazione antidifterica obbligatoria per legge. Ebbi questa strana illuminazione: che il Corynebacterium diptheriae fosse in grado di danneggiare, insieme con gli organi vitali, anche i tumori».
Che fece?
«Decisi di provocare il cancro nei conigli iniettandogli nelle orecchie il 20-metilcolantrene, un idrocarburo dal forte potere oncogeno, ricavato dal bitume. Più complicato fu farmi consegnare dalla Sclavo la tossina difterica, anche perché può uccidere senza lasciare tracce».
In che modo si ottiene?
«Nei laboratori dispongono dei ceppi congelati. La coltivano su un normalissimo brodo di carne. Poi filtrano il liquido contenente la tossina e ricavano un liofilizzato in fiale».
Che cosa notò inoculandola nei conigli?
«Una regressione. La massa tumorale diminuiva di circa la metà. E ricominciava a crescere smettendo le iniezioni. Era il 1970. Telefonai subito a un amico farmacologo, Italo Maistrello, povero come me, figlio di pescatori di Porto Garibaldi, che lavorava alla Farmila di Milano. Lo pregai di venire a vedere. “Solo perché sei tu”, disse. Venne e rimase di sasso. “Bisogna provare la tossina su migliaia di topi singenici, cioè tutti uguali fra loro per sesso, età e peso; elaborare un programma; farci dare dall’Istituto Mario Negri i tumori sperimentali”, concluse. Optammo per il tumore di Ehrlich e il sarcoma 180. Ma a un certo punto i capi della Farmila, che produce colliri, convocarono Maistrello: “Che ci viene in tasca da questa ricerca?”. Lui rispose: “Prestigio”. Replicarono: “Il prestigio non è quotato in Borsa”. Oggi il mio amico lavora all’Ici, Imperial chemical industries di Londra».
Come andarono le prove sui topi?
«Quelli non trattati morivano in 16 giorni, gli altri in 32. Ma la vera sorpresa venne dall’ultimo esperimento su 100 topi nei quali avevo provocato il tumore di Ehrlich e poi iniettato la tossina difterica. A quattro mesi di distanza, 18 erano ancora vivi e sanissimi. Provai allora a reinoculargli il tumore nella stessa quantità: non attecchiva, lo rigettavano. Erano immunizzati».
Che meccanismo d’azione ha ipotizzato?
«Le cellule maligne dispongono di un gancio. Il Crm 197, come la tossina difterica, s’attacca a questo gancio provocando un’infezione. A quel punto scatta il sistema immunitario, che va a distruggere il Crm 197. Col risultato di uccidere, insieme con la fotocopia della tossina difterica, anche le cellule tumorali. Metta di vedere una mosca sul muro: lei decide di ucciderla con una martellata. Così distrugge la mosca, ma butta giù anche un pezzo di muro. La mosca è il Crm 197, il martello è il sistema immunitario, il muro è il tumore».
Quante iniezioni occorrono?
«Sei sottocutanee, a giorni alterni, nell’addome. Con un richiamo ogni due mesi, per un totale di cinque richiami. Io ho preso i malati che mi capitavano. Sul melanoma risponde benissimo».
È legale quello che ha fatto?
«Non avrei potuto testare il Crm 197 neppure sugli animali. Ai pazienti facevo firmare una liberatoria. Non li ho mai sottratti alle terapie convenzionali e non ho mai preso un centesimo. Per precauzione ho consultato alcuni avvocati: a mio favore giocava solo la legge sullo stato di necessità. Se un analfabeta trova per strada un ferito che sta morendo dissanguato, è autorizzato a stringergli una cintura attorno alla vena tranciata, giusto? Quello ho fatto io. Ma è difficile comprendere quanto sia stato logorante, sempre con gli stessi malati, sempre in fase terminale...».
Perché non ha sensibilizzato i politici?
«Ho tentato. Credevano che cercassi un posto da assistente in ospedale, pensi un po’. I senatori comunisti Arrigo Boldrini ed Ennio Cervellati mi invitarono a pranzo a Grattacoppa, ma solo per chiedermi di visitare gratis alcuni loro amici».
Poteva rivolgersi ai democristiani.
«Mi portarono dall’onorevole Benigno Zaccagnini. Nonostante fosse medico, mentre parlavo scuoteva la testa in segno di negazione. Dopo un mese mi telefonò: “Ne ho discusso”, disse, senza precisare con chi, “ma non ha suscitato alcun interesse. Dipenderà dalla crisi economica. Sono molto spiacente”».
Chi l’ha aiutata?
«La povera gente. Come l’ex partigiano Paolo, un anticlericale granitico. Ho scoperto che alle feste dell’Unità ordinava ai compagni di venire nel mio ambulatorio anche se erano sanissimi in modo da farmi prendere l’onorario delle visite».
Che differenza c’è fra lei e il professor Luigi Di Bella?
«Ho ereditato una decina di suoi pazienti. In un caso ho visto una sicura riduzione del tumore, documentata da una Tac. Però il suo metodo non è stato sperimentato sugli animali e consiste in una miscela di sostanze, per cui non si sa quale sia quella che realmente agisce. Senza contare che Di Bella non pubblicò mai i suoi studi sulle riviste che applicano la peer review, cioè la revisione da parte di almeno tre ricercatori indipendenti e anonimi nelle vesti di avvocati del diavolo».
Possibile che in giro per il mondo nessuno abbia mai constatato questo meccanismo d’azione della tossina difterica?
«Di recente ho ricevuto questa e-mail da Annette, una signora di New York. Descrive il caso del marito Dave, cinquantenne, portatore di melanoma all’ultimo stadio. Aveva polmoni, fegato e tibia zeppi di focolai. Da oltre un anno si sottoponeva alla chemio, senza alcun beneficio. Un’infezione l’ha costretto al ricovero in ospedale. Dai laboratori di Albany è arrivata la risposta: difterite del tipo mite. Il primo caso nella contea di Suffolk in 40 anni. In due settimane Dave è stato dimesso. Un mese dopo, la Pet di controllo ha scioccato i medici: “Liver cancer gone”, il cancro al fegato se n’è andato. Altre due Pet successive hanno dato identico risultato per polmoni e tibia. Dave è guarito.

La moglie mi ha rintracciato digitando su Internet le parole chiave cancer e diphtheria».
Perché non ha brevettato la sua scoperta?
«Perché mi pareva poco etico speculare sul cancro. Che ci creda o no, è così».
(318. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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