Per quale motivo praticamente l’universo mondo dei politici italiani è contro l’abolizione del canone? Con poche eccezioni, destra e sinistra, nord e sud, l’intero transatlantico considerano la provocazione del Giornale una boiata pazzesca. Eh sì, evidentemente rimettere nelle tasche dei cittadini più di cento euro all’anno sarebbe sciocco. Tutte le tasse sono più o meno criticabili, ma, per carità, non quella della Tv. Qualcuno potrà tirar fuori la solita storiella della libertà di stampa. Ma non fatevi ingannare.
C’è molto di più. Partiamo dalla questione più delicata. Così da non fare gli gnorri. Se si dovesse abolire il canone televisivo, sarebbe ragionevole togliere alla Rai il tetto alla raccolta pubblicitaria (oltre che ovviamente privatizzarla). C’è chi pensa che questo possa rappresentare un problema per Mediaset. A noi ci importa poco. E comunque saremmo sconvolti nel credere che il Parlamento tutto unito consideri questa eventualità un attentato alla libertà di stampa. Si tolgano i tetti e vinca il migliore: e cioè il più apprezzato dal pubblico. La verità è che la Rai è per la politica, ciò che per gli aristocratici romani era il Circolo della Caccia: una dépendance dei propri salotti.
Non è facile entrarci: l’ingresso a viale Mazzini non avviene con lo scrutinio di palle bianche e palle nere. Ci pensano i politici che con i loro fogliettini sono gli sponsor della «libertà di stampa». Insomma la Rai è il club, il circolo della politica. A due passi da Montecitorio, a cinque minuti da Palazzo Chigi. Si fanno le nomine, si decidono le strutture, si esercita il controllo che tiene tutti dentro. Ma qualcuno in questi giorni si è forse chiesto se sia normale che le decine di giornali e testate Rai (dai Tg ai Gr alle reti e via discorrendo) siano piene di vicedirettori? Un direttore che non abbia almeno sei vice è un panda.
Il problema è che il club Rai, a differenza della Caccia, non lo pagano i soci: ma lo facciamo noi ogni anno con i nostri 107,50 euro. E se qualcuno si alza e dice: scusate, ma siamo proprio sicuri, che i nostri quattrini siano ben spesi, si apre un finimondo. Colpire la Rai è innanzitutto colpire questo genere di politica. Per questo il Giornale con l’iniziativa di Daniela Santanchè continua con la sua provocazione. Che escano allo scoperto i difensori del canone. Per carità abbiamo avuto un ministro dell’Economia che ci ha spiegato come le «tasse fossero belle». E dunque qualcuno affascinato dalle corvée fiscali ci sarà pure. Si accomodi. Da queste parti non passa. C’è infine un altro tema, per così dire, tecnologico.
Oggi l’offerta televisiva si è talmente ampliata che nelle nostre case arriva di tutto: segnali video dal computer, dalla rete telefonica, dal satellite e dall’antenna, ma in forma digitale. Ecco. L’offerta si è segmentata: è sempre più vicina alla richiesta della gente. Prima era un flusso indistinto di audio e video che ci veniva proposto. Oggi siamo noi a cercare cosa vogliamo. La scelta non è più solo sui sette primi tasti del telecomando. È vastissima. È tutto da dimostrare che il servizio pubblico sia per definizione «robba» della Rai. RadioRadicale che ci trasmette processi, udienze e sedute parlamentari (il tutto rintracciabile quando ci fa più comodo sulla rete) come la consideriamo?
Solo per fare l’esempio più illuminante. Vorremmo che fosse ribaltato il luogo comune che mezzo mondo ci sta vomitando addosso: e cioè la Rai e dunque il canone non si toccano perché si tratta di servizio pubblico. Guardiamola diversamente: cosa è servizio pubblico? Facciamoci un bell’esame di coscienza e difficilmente riconosceremmo oggi alla Rai questo suo primato. Si faccia pagare, dunque. Ma da chi ritiene che sia davvero tale. Fantasie? Probabilmente sì. Scardinare il canone sarà difficilissimo. Per il momento accontentiamoci di aver svelato questa passionaccia di gran parte dei politici per il proprio club di riferimento.
P.S. A proposito di Annozero e di Santoro. Il conduttore ha più volte detto che il suo programma porta quattrini alla Rai. Le pubblicità che lo interrompono generano più euro di quanto il programma costi. Bene.
Una tale delizia (e chi scrive non fa certo parte di coloro che ne vorrebbero la chiusura) si può permettere di esistere e prosperare anche senza il canone. Vive di sola pubblicità. Se tutto ciò è vero, chiedere l’abolizione del canone non vuol dire, de iure, chiedere la chiusura di Annozero. Anzi Annozero è uno di quei programmi che potrebbe ben vivere autonomamente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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