Milano - Così breve, il processo, che tanto vale non farlo. Fuori un imputato e sotto un altro. Quasi fosse una catena di montaggio, l’ultimo espediente per ridurre i tempi della giustizia è non praticarla affatto. O per lo meno, aggirarne la forma. Che, nel caso della legge, è pure sostanza. Così, prima della prima udienza, prima che il processo d’appello cominci, ben prima che i giudici (tre) entrino in camera di consiglio, la sentenza c’è già. Mollata come scartoffia nel fascicolo processuale. Lo stesso che l’avvocato chiede di poter consultare all’inizio dell’udienza. Apriti cielo. Un foglio. Battuto al computer. Con firma del giudice relatore. Che conferma la decisione dei magistrati di primo grado e condanna Francesco Basile, 36 anni accusato di furto, a 8 mesi di reclusione. Avanti il prossimo.
A un passo dalla morte della giustizia, però, il rantolo che la salva. È il legale di Basile, l’avvocato Paolo Cerruti di Napoli, a evitare che si compia il destino già segnato del suo assistito. Trova la carta, la mostra in aula, solleva un polverone. Chiede il sequestro del documento e «ho fatto mettere a verbale che ho trovato la sentenza già fatta e firmata», dice visibilmente alterato. Cerruti la racconta così. «Per scrupolo prima dell’inizio del processo chiedo al cancelliere di indicarmi il fascicolo in modo da capire quali fossero i punti più controversi da discutere. Noto che sulla scrivania del presidente c’è un documento con scritto: “Tribunale di Monza, Basile Francesco”. Lo apro per vedere cosa ci sia annotato dei miei motivi di appello e leggo: “L’appello è infondato e va rigettato”. Accanto il giudice Giovanni Scaglione ha scritto punto per punto tutte le motivazioni di rigetto dei miei motivi di appello». «Se questo è quanto - rincara la dose -, la funzione dell’avvocato è assolutamente nulla, e siccome io ho un rispetto enorme per la magistratura, ho voluto tutelare la giustizia. Quindi ho fatto mettere a verbale che ho trovato la sentenza già firmata. Poi ho chiesto che venisse sequestrata in modo che il Consiglio superiore della magistratura verifichi se l’avvocatura sia stata offesa. Infine ho avvertito per telefono l’Ordine degli avvocati di Napoli e sono andato di persona dai responsabili di quello di Milano. Qui i giudici non hanno rispetto». Insomma, un gran casino. Che rischia di travolgere il giudice relatore, peraltro da pochi mesi a Milano.
Giovanni Scaglione, il presidente della prima corte d’appello finito nella bufera, si difende: «L’avvocato ha messo abusivamente le mani nelle mie carte. Io avevo preparato una bozza di decisione, ma la sentenza del collegio poteva essere completamente diversa». E poi «del processo dev’essere tenuto conto solo della decisione finale, non di quello che uno ha intenzione di fare». Ad ogni modo, il giudice alla fine si è astenuto, e al suo posto è subentrata un’altra toga. «Macché bozza - ribatte ancora l’avvocato Cerruti - quel foglio era scritto al computer e portava la firma del giudice». Quell’appunto, in effetti, somiglia parecchio a un documento ufficiale. Con tanto di formule ufficiali, concluse col «Pqm» di rito. «Per questo motivo». Così finisce la lettura di un dispositivo. E subito dopo, l’imputato viene condannato o assolto.
E Basile Francesco, per poco, non passa alla storia come il primo giudicato sulla fiducia. Stavolta sì, un vero pre-giudicato. L’udienza, però, è proseguita. Altro giudice, altra sentenza. Cinque mesi di reclusione per un furto all’autodromo di Monza, poco prima dell’inizio dell’ultimo gran premio. Pure uno sconto di pena.
Nonostante qualche piccolo precedente per truffa. Insomma, Francesco Basile non è uno stinco di santo. Ma per carità, nemmeno Binnu u tratturi Provenzano. E in ogni caso, anche alla peggio canaglia spetta un processo. Breve finché si vuole. Ma almeno, che inizi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.