All'ex Centrale del latte il nuovo campus Bocconi

All'ex Centrale del latte il nuovo campus Bocconi

Il nuovo campus Bocconi sulle ceneri dell'ex Centrale del Latte, tra le vie Castelbarco, Sarfatti, viale Toscana, è salvo. Lo scorso gennaio il Comune aveva sospeso con un parere vincolante il piano da cento milioni di euro per trasformare l'area in una residenza universitaria, un progetto firmato da due archistar giapponesi, Kazuyo Sejima e Ruye Nishizawa dello studio Sanaa, con torre da 15 piani e piscina olimpionica da 50 metri. Un intervento supportato da fondi ministeriali, che hanno iniziato a traballare visto che senza il permesso di costruire firmato entro il 2014 i soldi dello Stato sarebbero tornati a Roma. Un rischio evitato, visto che qualche settimana fa la giunta ha finalmente approvato la bozza di convenzione tra Comune e università Bocconi per la realizzazione e gestione dell'intervento. In quel parere i tecnici comunali avevano ravvisato il rischio che il campus «escludesse» la città, diventasse una sorta di enclave inaccessibile ai residenti. Pare evidente, avevano scritto nel parere negativo, l'«intenzione di trasformare i confini dell'area in un recinto che interclude una porzione di città». E «appaiono poco approfondite le sistemazioni dello spazio pubblico delle vie Sarfatti, Gobbi e Sraffa che, pur introducendo utili e interessanti nuovi spazi pedonali nel tessuto della città, impongono un disegno inspiegabilmente disurbano».

Gli architetti hanno rivisto i piani, abbassando la torre (come piace alla giunta allergica al cemento) e previsto una riqualificazione funzionale e paesaggistica delle aree pubbliche comunali, costituite dall'attraversamento del parco Ravizza tramite la via Bach e da piazza Sraffa, che hanno convinto nei mesi successivi la Commissione.

Dopo il parere positivo dei tecnici, anche la giunta ha portato avanti la convenzione - che verrà firmata a breve - per assegnare in via concordata una quota degli alloggi riservati a studenti e personale e altri punti che abbatteranno probabilmente, come piace al Comune fan della scuola pubblica, i «recinti» troppo alti dell'università privata.

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