Boateng inchioda davanti ai giudici i tifosi razzisti che l'hanno offeso

Insulti che partivano dagli spalti ogni volta che toccava palla, con dei buh-buh che «ricordano i versi degli animali e delle scimmie». Il calciatore del Milan Kevin Prince Boateng è stato sentito ieri in tribunale a Busto Arsizio insieme al suo allenatore, Massimiliano Allegri e ad altri calciatori, nella seconda udienza del processo per direttissima ai sei presunti autori dei cori razzisti durante l'amichevole Pro Patria-Milan svoltasi proprio allo stadio Speroni di Busto lo scorso 3 gennaio, accusati di ingiuria aggravata dal razzismo per aver preso di mira Boateng e i compagni di squadra Niang e Muntari. Il centrocampista del Diavolo ha così ripercorso l'episodio che lo ha portato a scagliare il pallone contro la tribuna nel corso del primo tempo e a uscire dal campo insieme alla sua squadra, decretando la sospensione della partita con un gesto che fino ad allora era senza precedenti.
«Dopo 20-25 minuti ho sentito ancora il “rumore“ provenire dalla curva e ho deciso che non volevo più giocare - ha dichiarato il centrocampista -. Anche l'arbitro ha la sua parte di colpa perché sentiva queste cose ma non ha fatto niente. Penso che mi abbiano insultato perché la mia pelle non è bianca, succedeva anche in Germania e per me si tratta di atti di razzismo».
Sentimenti condivisi anche dal francese M'Baye Niang, che ha spiegato di «essere stato offeso per il colore della pelle».

Oltre a Boateng, Niang e Allegri sono stati ascoltati come testimoni dal pm Mirko Monti, dal giudice Toni Adet Novik e dai legali dei sei tifosi e delle parti civili - la Lega Pro e il Comune di Busto Arsizio - il capitano Massimo Ambrosini e Daniele Bonera. In aula anche l'arbitro, Gianluca Benassi, i due guardalinee, tre giocatori della Pro Patria e gli agenti di polizia che sono intervenuti dopo i cori e hanno condotto le indagini per individuare i responsabili.

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