Non è discriminatorio verso un cittadino straniero chiedergli di certificare l'assenza di proprietà immobiliari nel Paese d'origine al fine di assegnargli un alloggio popolare. Lo ha deciso il Tar della Lombardia, che ha respinto il ricorso di una donna ecuadoriana contro il Comune di Sesto San Giovanni. Il caso richiama per certi versi quello dei bambini di famiglie non italiane esclusi dalla mensa scolastica a Lodi per la non completezza della documentazione richiesta dal Comune. Qui però i giudici hanno dato ragione all'Amministrazione. Non solo. La Quarta sezione del Tribunale amministrativo, dopo l'udienza del 10 gennaio, ha anche dichiarato che esentare la ricorrente dall'obbligo di legge di presentare una parte di certificazione «avrebbe paradossalmente sfavorito i cittadini, italiani e stranieri, in grado» invece di produrla.
A rivolgersi al Tar è stata una cittadina originaria dell'Ecuador residente con marito e figli a Sesto. Ha partecipato al bando per ottenere un alloggio di Edilizia residenziale pubblica ed è entrata in graduatoria in una buona posizione. Poi però il Comune ha cancellato la sua domanda. Le è stato infatti chiesto, come a tutti gli altri partecipanti e in base alle norme che regolano queste assegnazioni, di attestare «la non proprietà di immobili in tutto il territorio del Paese di origine per tutti i componenti del nucleo familiare». La donna ha prodotto un certificato in cui il Consolato del suo Paese dichiarava che la famiglia non è proprietaria di immobili, ma limitatamente al «cantone» di provenienza. Il Consolato aggiungeva di non poter certificare la stessa cosa per tutto il territorio della Repubblica dell'Ecuador, dove non esiste «un registro della proprietà nazionale». Da qui l'esclusione della ricorrente. La quale ha ribattuto che in questo modo veniva violato «il principio di parità di trattamento» nei rapporti con la Pa tra italiani e stranieri. Che se avesse dovuto presentare un certificato per ognuno dei 221 cantoni dell'Ecuador e per ciascuno dei componenti del suo nucleo, la somma avrebbe fatto 1.105 documenti: una missione impossibile. E che la cancellazione della sua domanda era «ingiusta» e «immotivata». Il Tar risponde che la donna non può in questo caso avvalersi di autocertificazione, perché il Comune non potrebbe mai verificarne la veridicità. Il cittadino straniero deve sottoporsi alle medesime prescrizioni dell'italiano, «pure se il rispetto delle stesse comporti un onere documentale aggiuntivo» Ancora: «I limiti regolamentari all'utilizzo della dichiarazione sostitutiva non sono certo riconducibili a un intento discriminatorio». L'esclusione quindi è «legittima», decisa «in base al dato obiettivo, e indipendente dalla volontà dell'Autorità interna italiana, che il Paese di provenienza non possiede» un catasto nazionale. Dichiara il sindaco di Sesto, Roberto Di Stefano: «È una decisione particolarmente importante, perché evidenzia che applichiamo la legge in maniera regolare, senza alcuna discriminazione.
Inoltre la sentenza ribadisce che, così facendo, tuteliamo i cittadini italiani e quelli stranieri in regola, con i documenti a posto. Se non lo facessimo finiremmo nel penalizzare i cittadini onesti, attuando addirittura un'assurda discriminazione verso gli italiani».
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