È un club di alto livello, molto ben frequentato, quello in cui hanno fatto irruzione le forze dell'ordine qualche sera fa, tra lunedì e martedì. Il controllo in certi ambienti è d'obbligo: dove c'è denaro, si sa, c'è anche consumo di stupefacenti e le voci girano. Gli uomini in divisa li chiamano «blitz». In realtà i commissariati di zona e la polizia amministrativa sanno benissimo quali sono i posti da monitorare, hanno il polso della situazione, conoscono il territorio. Così nel locale milanese in questione tutto si è svolto come al solito: richiesta di documenti, identificazioni e via di seguito. Alla fine qualcuno che finisce in questura o in commissariato c'è sempre. Così come chi, forse più di altri, non desidera essere «pescato» in luoghi che frequenta in qualità di privato cittadino.
Per questo ha comprensibilmente chiesto estrema discrezione il magistrato della Procura di Milano che, proprio in qualità di privato cittadino ma in abiti un po' bizzarri, si è visto chiedere i documenti ed è stato quindi identificato all'interno del locale e riconosciuto.
Va sottolineato che la persona in questione è del tutto estranea al consumo di stupefacenti e nulla ha a che vedere con le ragioni per cui al club, al termine dei controlli, è stata sospesa la licenza.
Tuttavia il pm era ben conscio che il costume che indossava nel momento in cui le forze dell'ordine hanno fatto il loro blitz nel club dov'era in corso una festa - una sorta di camuffamento carnevalesco peloso, da volpe, con due code - poteva suscitare più di un commento ilare, più di una chiacchiera. E ha preferito non glissare sul «tenetemi fuori da questa storia, visto che non c'entro nulla», ma anzi insistere. Impossibile non accontentarlo.
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