I Vallanzaska, storico gruppo ska milanese, presenteranno lunedì in occasione della Giornata della Memoria il video Lettera sulla tragedia della Shoah, che sarà contenuto nel nuovo album Thegenerazione in uscita a marzo. Chiediamo a Davide Romagnoni, front man della band e autore del pezzo, perché affrontare un tema del genere.
«L'argomento della Shoah e dei campi di concentramento nazisti mi ha sempre interessato. Dopo la lettura di Se questo è un uomo di Primo Levi alle medie è nato un profondo interesse che mi ha accompagnato fino ad adesso. Mi sono laureato in Storia e ho seguito un corso di Filosofia morale sulla Shoah. In varie fasi della mia vita mi è capitato, tra letture private e studi, di approfondire questo tema. Il pezzo è nato un anno fa, era la Giornata della memoria, stavamo lavorando al disco nuovo, e io avevo in mente quella melodia, mi è venuto naturale quel giorno scrivere il testo».
Un testo che si discosta molto dai pezzi ironici e scanzonati cui ci ha abituati il gruppo...
«In effetti non esiste un nostro pezzo che non sia ironico al 99%! Questo è molto diverso, è forte ma la band ha appoggiato subito il cambiamento completo di direzione. Siamo un gruppo alternativo, abbiamo fatto una mossa difficile, coscienti che davanti a una tale tragedia sia necessario ricordare».
Il video, che uscirà lunedì, (regia Davide Romagnoni e Andrea Remondina) è il frutto di una performance che ha fatto nel centro di Milano.
«Oggi come oggi per promuovere una canzone è necessario fare un video. Come illustrare un testo del genere? Il pezzo è crudo, per nulla poetico, ma non volevamo mettere le classiche foto di repertorio delle deportazioni, che non avrebbero aggiunto nulla. Abbiamo optato per una performance, per vedere la reazione delle persone, per far vivere ai milanesi quello che accade in città 60 anni fa».
Così ha camminato per un giorno in centro "vestito" da deportato...
«Il nostro obiettivo era far conoscere la tragedia della Shoah a chi non la conosce e sconvolgere le persone che la negano, perché ce ne sono in giro tante».
Che reazioni ha osservato?
«Ero seguito da una telecamera nascosta, ho passeggiato per tutta la giornata in centro con la "divisa" a righe e la stella di David. All'inizio ho sperimentato l'indifferenza più assoluta. Ero sconvolto. Sessant'anni fa succedeva la stessa cosa: file di persone, e camionette che andavano e venivano dalla stazione Centrale nell'indifferenza più assoluta».
Poi cos'è successo?
«Arrivato in Duomo mi sono seduto al centro della piazza: la gente ha cominciato ad avvicinarsi, incuriositii da una strana performance di un artista di strada. È arrivata la polizia che mi ha chiesto i documenti, gente di tutti i tipi mi guardava e faceva domande. Le due più estreme sono state un signore, italiano, di sessant'anni circa che non sapeva cosa fosse la Shoah e una ragazzina che mi ha chiesto se ero un vero deportato. Allora ho capito che stavo facendo una cosa giusta. Si è fermata anche una scolaresca che mi ha fatto delle domande sulla stella di David che avevo cucita. Il sindaco di Tel Aviv che passava di lì mi ha invitato nella sua città. Poi mi è avvicinato un ragazzo, che ha cominciato a girarmi intorno, visibilmente indispettito. Ripeteva come un mantra "sono di destra e non posso dire nulla"».
Bilancio?
«È stato molto emozionante, un'esperienza forte, anche se ero al gelo - mi sono ammalato - in quel momento stavo bene».
Anche il vostro pubblico è giovane, come la ragazzina che non sapeva quando fosse accaduto l'Olocausto.
«I nostri fans dovranno passare attraverso questa strettoia se vogliono sentire il disco nuovo! Non è detto che conoscano la storia anche perché di Olocausto l'Occidente non ne ha conosciuto uno solo. Dai venti milioni di africani rastrellati in Senegal e portati negli Stati Uniti ai tanti altri genocidi del passato più o meno recente. L'antisemitismo non è superato, anzi in questo periodo si sente aleggiare parecchio nell'aria. Un esempio? Quando è morto Priebke a Natale, tante persone su facebook, insospettabili, scrivevano "onore al capitano". Così ho visto che c'erano persone che non sapevano nulla di Priebke e della storia. Ho provato a spiegare e a raccontare, ma ho ricevuto solo insulti».
Il pezzo s'intitola Lettera.
«Abbiamo voluto raccontare in tre minuti quello che passavano i deportati, i rastrellamenti nelle case, la deportazione, il viaggio in treno, il campo di concentramento, la selezione, il camino. Tutto il viaggio da casa alla morte. È la lettera di un sopravvissuto che racconta.
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