Sin da bambino, per strada, i suoi coetanei lo prendevano in giro per le raffiche di frasi minacciose e incontrollate che, quando si arrabbiava, gli uscivano di bocca e che all'epoca venivano considerate niente più di semplici «sparate». A Ossona - paese di 4mila anime a 27 chilometri a nord ovest di Milano dove una moschea o un qualunque centro culturale islamico costituiscono ancora realtà lontane anni luce, mentre la chiesa resta «il faro» della comunità - un ragazzino nordafricano piccolo di statura e mingherlino, appartenente a uno dei primissimi nuclei familiari di migranti venuti a vivere in Italia, non poteva creare alcun tipo di allarme. In questa località, dove i bambini giocano ancora tutti per strada, il piccolo Ossama Ghafir, 18 anni compiuti a gennaio, che spaventava gli amici gridando: «Arriveremo dal Marocco e taglieremo la gola a voi italiani», non poteva che suscitare al massimo un po' di ilarità. Per il resto era un bambino come tutti gli altri.
Figuriamoci quindi lo stupore dei residenti (ma soprattutto degli ex compagni di scuola e di giochi, la maggior parte dei quali è ancora minorenne) quando mercoledì si è scoperto che Ossama era appena stato arrestato dalla Digos di Palermo perché considerato un lone wolf, un «lupo solitario», estremista seguace dell'Isis, pronto a una azione suicida in Europa in nome del Califfato contro i cristiani dell'Occidente nonché istigatore dell'altro giovane finito in manette sempre lo stesso giorno, il 24enne Giuseppe Frittitta, detto Yusuf, camionista palermitano di Aspra, ma residente da qualche anno per lavoro a Bernareggio, in Brianza. Da dove sarebbe stato pronto a compiere una strage proprio servendosi del mezzo pesante.
Gli «ohhh» e gli «ahhh» di meraviglia mista a sconcerto degli abitanti della piccola Ossona si sono fatti sempre più sommessi quando è emerso che solo due giorni prima dell'arresto Ossama si trovava proprio lì, a Ossona. In effetti il ragazzo, che qui ha frequentato le elementari e le medie e praticamente conosce tutti, non aveva mai abbandonato del tutto la località lombarda, ostinandosi a fare la spola tra l'abitazione di Cerano (Novara) dove nel 2016 si erano trasferiti i genitori insieme ai suoi due fratelli minori e la casa di famiglia di Ossona, nella centralissima piazza Litta, tuttora residenza di zii e cugini dei Ghafir.
È stato proprio alla notizia dell'arresto che in molti, già impressionati da tempo da quel ragazzo gentilissimo e poi pronto a sproloquiare di tagliagole non appena si adirava, hanno ricordato come quel nome scelto per lui dalla famiglia, Ossama (già di per sé inquietante perché non può che rammentare il ben più noto Bin Laden) per anni a Ossona sia stato sinonimo di attività illecite.
«Nessuno ha mai provato che quel ragazzo spacciasse stupefacenti, ma c'era qualcosa in lui che non tornava - spiega un ex compagno di classe -. I genitori, infatti, non lavoravano, il padre era molto malato, la madre non parlava una parola d'italiano, e tutta la famiglia almeno dal 2014 veniva seguita dai servizi sociali. Tuttavia Ossama, dall'adolescenza, ha cominciato a vestire benissimo, sempre griffato. Il sospetto che nascondesse qualcosa di losco era legittimo».
La Digos di Palermo, che teneva d'occhio Ghafir da un paio d'anni, spiega che il marocchino
avrebbe conosciuto Giuseppe-Yusuf su Facebook e aveva cominciato a mandargli, in maniera fin troppo ingenua, filmati di battaglia, canti di guerra e una sorta di manuale del buon combattente: un modo sicuro per finire nei guai.
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