Porta Vittoria, sogno finito Ora è un quartiere fantasma

Crac della società immobiliare di Danilo Coppola Lavori fermi, niente allacci e addio alla bonifica

La rete è socchiusa; oltre la rete ci si addentra in una taiga di sterpi, bottiglie, cocci di plastica. Qui doveva sorgere la grande Biblioteca europea, il sogno culturale che doveva bilanciare l'adiacente valanga di cemento dove sorgeva la vecchia stazione di Porta Vittoria. Libri contro mattone: utopia pragmatica. La libreria non si farà mai. E sul mattone di questo cantiere infinito regna da ieri mattina il curatore fallimentare. Fine ufficiale del sogno.

La fine arriva con la sentenza che dichiara fallita Porta Vittoria spa, la società che in un rimbalzo quasi grottesco si era ritrovata padrona dell'area, passata dalle Ferrovie dello Stato alla Fiat e da questa all'immobiliarista Statuto, da lui al suo collega Danilo Coppola e poi ai Segre di Torino e infine di nuovo a Coppola: risiko in cui colpisce l'assenza di un nome milanese, come se la sorte dell'area più grande in gioco a ridosso del centro non interessasse a nessuno dei signori locali del mattone e degli affari. Il cerino alla fine resta in mano a Coppola, nel frattempo finito in galera per bancarotta. E la sorte del chiomuto palazzinaro romano trascina con sè gli ultimi tentativi di tenere a galla la Porta Vittoria spa. Ieri su richiesta della Procura il tribunale dichiara: fallimento.

Così le tracce dei due sogni restano lì, a fronteggiarsi tra viale Umbria e viale Molise. Su un lato ci sono i palazzi, finiti o quasi finiti: quello bianco, destinato ad albergo, quello bianco e marrone, centocinquanta appartamenti. Ma mancano le finiture, gli allacci, tutto. E d'altronde non c'è nessuno che si occupi di cercare di vendere nulla: il cartello che annuncia l'ufficio vendite è sbiadito dalla pioggia e una freccia indica il vuoto. Non serve essere pessimisti per immaginare per entrambi i manufatti un futuro da ecomostri, affidati per essere finiti o venduti ai tempi biblici della curatela fallimentare, e quindi ragionevolmente destinati ad ammalorarsi alle intemperie prima ancora di essere completati.

Ma almeno sui palazzi incompiuti vigila qualcuno: i metronotte che impediscono ai disperati di farne il loro ricovero, i giardinieri che - dettaglio vagamente surreale - tengono rasa e pulita l'erba di queste aiuole dove forse nessun bambino giocherà mai. Oltre la fragile cancellata di confine, invece, inizia la terra di nessuno, il cui futuro era malcerto già fino all'altro ieri, e che con la sentenza di fallimento entra in sonno per i saecula saeculorum. Qui la terra non era più di Coppola, e quindi non approda nelle mani del curatore fallimentare: la terra è del Comune. Così, paradossalmente, i guai crescono.

Tutti sanno che lo splendido progetto dei tedeschi Bolles e Wilson per la Beic, la Biblioteca europea di informazione e cultura, non vedrà mai la luce perché quand'anche si trovassero i 300 milioni per realizzarlo nessuno potrebbe sobbarcarsi le immani spese di gestione. Nel 2012 l'assessore all'Urbanistica Lucia De Cesaris prese atto della realtà, e (anche se ufficialmente l'area è rimasta vincolata alla destinazione della Beic) concordò con Coppola un piano di sistemazione a verde dell'area: destinazione «provvisoria», ma assai in odore di definitiva.

Coppola, diceva l'accordo, si impegna sia a bonificare i terreni che a realizzare un parco urbano. É andata che Coppola ha bonificato meno della metà dell'area, poi ha lasciato perdere. Così la taiga di sterpi e pattume ha preso il sopravvento. Ieri, con il fallimento, la situazione diventa di fatto irrisolvibile. Il curatore non può terminare i lavori, perché sottrarrebbe risorse al fallimento; il Comune può chiedere i danni al fallimento, ma con prospettive vicine allo zero. Morale: la sterminata area dove doveva sorgere la Beic adesso pesa per intero sulla groppa di Palazzo Marino, che dovrà scegliere se lasciare tutto com'è o cercare nelle pieghe del bilancio i milioni per bonificarla.

Insomma: converrà abituarsi, e accettare che del panorama urbano, oltre

agli svettanti grattacieli che ne modificano la skyline, faccia parte a lungo questa cicatrice. Certo, faranno più fatica ad abituarsi gli abitanti delle case intorno: che si aspettavano di vivere in un posto assai migliore.

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