Un'intercapedine che viene rimossa durante i lavori di ristrutturazione del Policlinico. E lì, dov'era nascosto da decenni, salta fuori un gruzzolo di carte che riporta indietro l'orologio della stria di quarant'anni. Sono documenti - come racconta ieri Repubblica - delle Brigate Rosse, che al Policlinico di Milano avevano una delle loro colonne più agguerrite. E insieme a volantini e documenti, salta fuori un tesserino di Massimo De Carolis, il fondatore della maggioranza silenziosa, vittima il 15 maggio 1975 di uno dei primi attentati delle Br. De Carolis, allora capogruppo della Democrazia cristiana a Palazzo Marino, venne sequestrato all'interno del suo studio legale, interrogato e gambizzato. Per lunghi anni, il tesserino che gli venne sottratto dai brigatisti è rimasto lì, nascosto dietro la parete del padiglione dell'ospedale. Oggi De Carolis ha settantasei anni, e anche per lui la notizia è un tuffo indietro nel passato.
Ha letto?
«Ho letto, ho letto. Il mio tesserino... Non può essere quello da deputato, perché io nel 1975 non ero ancora entrato in Parlamento, dove venni eletto solo l'anno dopo. Non può essere il tesserino da avvocato perché ce l'ho ancora qui con me. Potrebbe essere il tesserino da consigliere comunale, che allora esisteva. Le Br nella loro maniacalità cercavano ogni tipo di documento, mi perquisirono lo studio, portarono via agende, rubriche telefoniche, carteggi. Forse in un cassetto trovarono anche quello e se lo presero».
Adesso risalta fuori. Può aggiungere qualcosa alla ricostruzione dell'attentato contro di lei?
«Chissà. L'inchiesta sul mio ferimento non è mai arrivata a niente, per il semplice motivo che il pm che la conduceva venne ucciso. Era Emilio Alessandrini, un magistrato di grande livello che io conoscevo bene. Prima di venire ucciso, fece in tempo a dirmi che avevano identificato la donna del commando. Vede, all'epoca le Br applicavano rigidamente le norme sulle pari opportunità e nelle loro azioni c'era quasi sempre una donna. Nel mio studio entrarono in quattro e una era effettivamente una donna. Alessandrini mi disse che era Paola Besuschio, una del nucleo originario delle Brigate Rosse che era stata arrestata qualche mese dopo per altri fatti. Ma nel 1979 Alessandrini venne ucciso e l'inchiesta si arenò».
In mezzo a tanti pentimenti, non si è mai saputo chi facesse parte del commando?
«Zero. Io però ho una convinzione precisa ed è che quello che mi interrogava e mi ha sparato non fosse un brigatista, ma un criminale comune. Di politica non capiva quasi niente, ma sparava benissimo. Era un orecchiante, faceva domande una più sbagliata dell'altra».
Che domande le faceva?
«Più che farmi domande in realtà mi lanciava delle accuse. Se doveva essere un processo, era più una requisitoria che un'istruttoria. L'unica cosa giusta che mi contestò era che come capogruppo della Dc a Palazzo Marino mi ero opposto a intitolare una scuola di via Cagliero a Roberto Franceschi, lo studente ucciso dalla polizia davanti alla Bocconi, perché non mi sembrava il caso di dedicare una scuola a uno che lanciava le molotov. A un certo punto mi resi conto che mi confondeva persino con un altro De Carolis, un deputato umbro che di nome faceva Giancarlo. Non poteva essere un brigatista vero, loro questi sbagli non li facevano».
Erano mascherati o a volto scoperto?
«A volto scoperto, tutti. Solo la Besuschio era truccatissima, aveva tutto un cerone addosso e una parrucca bionda. Molti anni dopo la incontrai in consiglio comunale, era molto cambiata, in pelliccia di visone. Io le dissi: signora, lei è molto diversa dall'ultima volta che ci siamo incontrati. E lei: ma no, cosa dice, non ci siamo mai visti prima. Ma non credo proprio che Alessandrini parlasse a vanvera».
E gli altri del commando?
«Mai saputo niente. Quello che mi interrogava e poi mi ha sparato me lo ricordo perfettamente ancora adesso e se lo incontrassi domattina per strada lo riconoscerei senza fatica. Ma può darsi che sia morto, perché era un po' più anziano di me».
Dopo la requisitoria, lessero la sentenza?
«No, si limitarono a lasciare il volantino con la rivendicazione, perché evidentemente la decisione era stata presa già prima di processarmi».
Ebbe paura che la ammazzassero?
«Ne ero assolutamente convinto, perché mi misero in piedi davanti al muro. Quando mi spararono alle gambe fui molto contento».
Il ritrovamento del materiale al Policlinico può fare nuova luce su quegli anni?
«Non c'è niente da capire.
Non credo alle dietrologie, ai grandi vecchi, ai servizi segreti. Le Br sono un mistero solo per chi vuole negare la realtà che è quella di una militanza armata dell'ultrasinistra che colpiva i nemici del popolo nella speranza di creare una sollevazione».
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