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Quei ciclisti arroganti che passano col rosso e vanno sui marciapiedi

di Carlo Maria Lomartire

Qualche giorno fa sono stato investito. In corso Buenos Aires. Da una bicicletta. Sul marciapiede. Ed è la seconda volta in un mese. Sempre danni lievi, per fortuna: un livido sullo stinco colpito da un pedale la prima volta, spalla contro spalla (credo, spero che ne sia rimasto più danneggiato il ciclista) la seconda. In tutti e due i casi il «pirata» si è dileguato, e io non ho avuto alcuna possibilità di identificarlo perché, diversamente da quello che accade in alcuni paesi europei, da noi le bici non hanno una piccola targa identificativa. Mi è capitato anche di assistere ad episodi analoghi che coinvolgevano altri e chi frequenta corso Buenos Aires sa che i suoi marciapiedi - invitanti per la loro larghezza ma frequentatissimi anche in agosto - sono ormai diventati delle piste ciclabili, dove spesso il ciclista si avventura in spericolati slalom fra i pedoni che, se riescono ad evitare di inciampare sul tappetino di un venditore abusivo di roba contraffatta, devono badare a non essere intercettati dal ciclista impunito. E sono cose che accadono anche in altre strade con caratteristiche simili, come corso Vercelli o corso Venezia o via Manzoni.
Com'è possibile? Tutti sappiamo che ormai certi pedalatori ideologici si sentono esseri speciali, autorizzati a percorrere contromano una strada a senso unico o la corsia opposta di una strada a due sensi di marcia, a ignorare i semafori e passare col rosso, a pedalare sulle strisce pedonali, insomma ad approfittare della sua condizione ambigua: due gambe e due ruote. Ma può farlo perché è noto che ormai una forma perversa e francamente ridicola di un certo ambientalismo facile, ha fatto dei ciclisti una specie protetta e arrogante, con più diritti e meno doveri di automobilisti e pedoni. E, soprattutto, senza alcuna responsabilità di fatto. Chi pedala salva l'ambiente, secondo una certa ideologia d'accatto, e dunque pazienza se investe una vecchietta sul marciapiede, se costringe a una brusca frenata con rischio di tamponamento a catena l'automobilista che se lo trova di fronte in una strada a senso unico. Per mesi abbiamo subìto una frastornate campagna di propaganda ideologica al grido di «la bici è bella e non inquina». Spesso questi ciclo-propagandisti, organizzati in associazioni rumorosamente impegnate, sono gli stessi che, giustissimamente, pretendono dagli altri utenti della strada, soprattutto dagli automobilisti, il massimo rispetto delle regole, chiedono l'inasprimento di Area C, la pedonalizzazione di questa e quella strada, si oppongono alla realizzazione di box interrati, ma si guardano bene da pretendere analoga autodisciplina dai loro protetti.
«Non ci sono le piste ciclabili!», questa la banale giustificazione, lamentosa e autoassolutoria, che adduce il ciclista militante beccato in flagrante. E' una comoda ma fragile scusa che, in realtà equivale a quella addottata dall'odiato automobilista che lascia la macchina in seconda fila o sul marciapiede: «Non ci sono parcheggi». E d'altra parte, se un ciclista è autorizzato a percorrere il marciapiede in assenza di pista ciclabile, è impensabile realizzarne una in ogni strada.
Tutto questo avviene, naturalmente, grazie al totale e irresponsabile disinteresse sia della polizia locale sia dell'Amministrazione, a cominciare dall'assessore competente, l'ineffabile Pierfrancesco Maran. Il quale, lo riconosciamo, ora è impegnato in tutt'altre faccende, a cominciare dalla grana della bocciatura di Area C da parte del Consiglio di Stato.

Ma ci sentiamo di suggerire a questi signori di cominciare a valutare il problema, prima che una signora, abbattuta sul marciapiede da un ciclista impegnato nel miglio da fermo (esattamente un miglio è la distanza da Porta Venezia a Piazzale Loreto), rivolgendosi a un buon avvocato chieda i danni al comandante dei vigili, al candido Maran o allo stesso sindaco Pisapia.

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