Partiranno stasera alle 19 da piazza dei Mercanti, in contemporanea con centinaia di altri cortei su due ruote in tutto l'Emisfero Nord del pianeta, i ciclisti della Ride of silence , la pedalata del silenzio in memoria delle vittime della bici. É l'evento che si tiene ogni anno dal 2003, quando a Dallas lo specchietto di un autobus di linea colpì ed ammazzò Larry Schwartz, e serve a sensibilizzare istituzioni e cittadini sulla necessità di norme a tutela dell'incolumità dei ciclisti. E che si tenga anche a Milano è quasi inevitabile, se si guardano ai dati che proprio ieri la Regione ha diffuso sulla mortalità in bicicletta in Lombardia, e sono dati abbastanza duri da accettare. In bici si muore, in tutta la regione. L'anno scorso 49 morti, quasi uno alla settimana; nei quattro anni oggetto della ricerca (2010-2013) una strage da 223 morti. E la provincia di Milano guida la classifica, con i suoi 58 morti in nome della «mobilità dolce».
É una statistica vasta, ma analizza i casi uno per uno, e racconta perché si muore in bicicletta: e sono d'altronde dinamiche ben note. Si muore perché il camion o l'autobus girano a destra, e schiacciano chi ha la sventura di trovarsi nel famigerato «angolo cieco»; perché una moto brucia uno stop o un rosso; o come Giacomo Scalmani, ucciso da un tram a dodici anni in via Solari per colpa di un'auto che apre le portiere all'improvviso. A volte si muore anche per imprudenza stessa del ciclista, che viaggia senza luci e senza giubbotto, quasi invisibile. Ma un dato è certo: nel traffico, il ciclista è il soggetto debole, più ancora del pedone. E i dati lo raccontano.
Il rapporto stilato dall'assessorato regionale alla Sicurezza dice che a Milano e provincia, in questi quattro anni, oltre ai ciclisti che hanno perso la vita ci sono stati 7.368 rimasti feriti. Il maggior numero di incidenti avviene in città, ma il numero più alto di morti è sulle strade extraurbane, a riprova del ruolo cruciale della velocità delle auto; si muore soprattutto agli incroci, ma anche in curva o in rettilineo. Muoiono ciclisti di ogni fascia d'età, ma i più colpiti in percentuale sono bambini sotto i 14 anni e gli anziani sopra i 70, che spesso nell'urto perdono il controllo della bici e cadono battendo la testa. La statistica, presentata ieri dall'assessore Simona Bordonali, analizza anche i picchi di ora e di stagione: dice che si muore soprattutto nella bella stagione, quando il traffico è più intenso, e che le ore più a rischio sono le prime della giornata, fino alle 9.
I dati della Regione, nella loro crudezza, sono impressionanti. E dare la colpa ai ciclisti è veramente difficile: «Risulta come nella maggioranza dei casi chi si trovava in sella alla sua bicicletta procedeva regolarmente e senza svoltare», mentre «nelle principali cause attribuite agli altri veicoli a danno dei ciclisti emergono la guida distratta o l'andamento indeciso». Su come si possa mettere un freno a questa ecatombe, come è noto le opinioni divergono: dalle «zone 30» alle corsie, alle righe sui marciapiedi. Ci sono le modifiche che si possono apportare alle auto: «secondo l'Unione europea, le parti anteriori delle automobili resistenti agli urti e gli specchi per l'angolo morto potrebbero salvare la vita a 2mila pedoni e ciclisti l'anno».
Ma ci sono anche le regole che gli stessi ciclisti faticano ad accettare: «i seggiolini da bicicletta per bambini, l'età minima per l'uso della bicicletta sulle strade pubbliche», e soprattutto il casco, che in America ormai è prassi comune, che in alcuni paese europei è obbligatorio per i minorenni e cui in Italia ben pochi si rassegnano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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