«Un anno e otto mesi di grandi soddisfazioni»: è il bilancio del prefetto di Milano, Luciana Lamorgese, pronta a lasciare l'incarico il 28 settembre. «Resterò nelle istituzioni» ha annunciato durante un incontro con i cronisti milanesi, ammettendo di «portare la città nel cuore». Tra le esperienza più significative vissute nel periodo dell'incarico prefettizio meneghino «la visita del Papa» e il convengo sugli «ottanta anni delle leggi razziali con la senatrice a vita Liliana Segre». Le azioni più impegnative sono state quelle per portare a termine gli sgomberi di stabili occupati, come quello di via Cavezzali. Tra i successi l'aver reso operativo il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica che ha avuto «un ruolo strategico», anche in casi di cronaca eclatanti come le operazioni davanti alla stazione Centrale.
«È stato un periodo intenso, che avrei voluto non finisse mai. Mi sono innamorata di Milano, mi sono data completamente a questa città e ho ricevuto molto in cambio». Luciana Lamorgese, prefetto uscente dopo un anno e otto mesi di incarico, non nasconde l'orgoglio e neppure il velo di tristezza. La sua è una dichiarazione d'amore per la città che ha guidato da corso Monforte. «Non lascio Milano. Rimarrò a vivere qui, ho comprato casa - continua al saluto ai giornalisti -. Farò la spola con Roma per il nuovo incarico di cui per ora non voglio svelare nulla. All'inizio mi dispiaceva lasciare la Capitale, ma dopo meno di due anni mi sento ormai una vera milanese. Non sono nata qui, è vero. Anche noi non milanesi però abbiamo un po' fatto grande questa metropoli». Il 28 settembre ci sarà il saluto ufficiale, preceduto dal Comitato per l'ordine a la sicurezza cui parteciperà il ministro dell'Interno Matteo Salvini. «Poi sarà al mio commiato, ne sono onorata», dice Lamorgese.
Puntuale, arriva il bilancio del primo prefetto donna della storia della città. Anche se lei non ama che si enfatizzi questo aspetto: «Non conta», ammonisce. Assicura di aver avuto «molte soddisfazioni, nessun dispiacere» dall'insediamento del febbraio 2017. «Milano - continua - era per me la sede prefettizia più importante. Dopo essere stata capo di Gabinetto al Viminale, desideravo venire qui per chiudere un certo percorso». Lamorgese ripercorre i mesi scorsi: «La nostra attività è complicata, anche per i risvolti di tipo politico. Abbiamo fatto tanto, secondo i miei programmi. Sono felice di aver avuto, oltre all'appoggio della stampa, il riconoscimento dei cittadini e delle istituzioni. Il valore aggiunto di Milano è il senso di squadra che si respira. Il lavorare insieme. Con il Comitato, i sindaci, gli enti, la magistratura, le forze dell'ordine abbiamo fatto un lavoro prezioso. Questo è un patrimonio che lascio come metodo di azione».
Poi l'elenco degli impegni più importanti. La visita del Papa, a soli venti giorni dall'insediamento di Lamorgese, e il protocollo migranti in cui sono stati coinvolti i Comuni dell'hinterland. «Abbiamo affrontato grandi flussi - sottolinea il prefetto -, grosse difficoltà nelle collocazioni. Man mano i sindaci hanno firmato e anche là dove non hanno firmato, nei momenti di tensione, il senso di responsabilità ha prevalso. Quest'anno abbiamo avuto meno arrivi, 400 dal primo gennaio, anche grazie al buon lavoro del governo». Ancora: le interdittive anti mafia, 24, e i controlli in stazione Centrale: «La presenza dello Stato deve essere visibile, occorre darne segnale». Il protocollo per le donne vittime di tratta e di violenze. E gli sgomberi. «Quello delle occupazioni abusive è un problema importante dal punto di vista della percezione di sicurezza da parte dei cittadini - aggiunge Lamorgese - che per me è stata una priorità. Abbiamo fatto 127 sgomberi. Via Cavezzali, via Palmanova... Non è stato facile. Per preparare uno sgombero ci vogliono mesi, ma siamo riusciti a coniugare legalità e cura delle situazioni di difficoltà». I giorni più pesanti? Le tragedie di Lamina e Pioltello.
Il futuro? «È pronto un nuovo impegno per me - conclude il prefetto - posso ancora dare molto, con passione, e a casa non ci so stare. Resto nelle istituzioni, dove sono cresciuta. Non potrei fare altro». Per corso Monforte invece il nome che più ricorre è quello dell'attuale prefetto di Torino Renato Saccone.
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