Se la palla fosse (ancora) in mano alla vecchia gloria dell'Inter Alessandro Altobelli, la partita sarebbe già chiusa. «Demolire San Siro? Non se ne parla nemmeno - il commento granitico ieri ai microfoni di Radio anch'io sport -. Piuttosto mi incateno. Il Meazza è la storia del calcio, non si tocca, facciamo sentire la nostra voce». Anche il leader della Lega Matteo Salvini è tornato a ribadire due sere fa che «non si dovrebbe abbattere San Siro, è un pezzo di storia e un simbolo del calcio mondiale». Si atterranno alla linea del «Capitano» i consiglieri lumbard che promettono opposizione dura in consiglio al progetto del nuovo stadio depositato da Milan e Inter a luglio. E siamo alla resa dei conti: domani i vertici dei club, Paolo Scaroni per i rossoneri e Stefano Antonelli per i nerazzurri, incontreranno - finalmente - i capigruppo per presentare la sintesi del dossier depositata a luglio per ottenere dal Comune la dichiarazione di pubblica utilità sul nuovo impianto da realizzare e sul quarto anello commerciale da creare sulle ceneri del Meazza, indice di edificabilità elevato allo 0,70, il doppio di quanto consentito dal Pgt. Il centrodestra farà catenaccio. Nel Consiglio trasformato in «bar sport» l'accoglienza ai club è nelle accuse di «scarsa trasparenza» del consigliere M5S Simone Sollazzo o di Basilio Rizzo (Milano in Comune) che non ha deciso se parteciperà perchè «devono consegnarci tutti i dati, non possiamo ragionare su un bigino».
I club dovrebbero portare una sintesi del dossier, depurata dai dati sensibili, mostrare slide del progetto e dei rendering del due progetti degli studi Populous e Manica-Cmr rimasti in ballottaggio dopo l'esclusione di Hok e di Stefano Boeri, e un documento prodotto da ente terzo che dimostrerebbe l'insostenibilità economica della ristrutturazione del Meazza su cui anche ieri il sindaco è tornato a fare pressing. Beppe Sala e la maggioranza non vogliono rimanere con il cerino in mano. Milano Progressista a meno di un netto abbassamento delle volumetrie faticherà ad esprimere un voto positivo in aula. I dem si sono riuniti ieri per fare il punto e se Milly Moratti (vicina peraltro a Boeri) si è già dichiarata nettamente contro, anche Alessandro Giungi «ascolterà le società in commissione» ma ribadisce il no e lo stesso dovrebbe fare l'ambientalista Carlo Monguzzi. Fuori virgolette altri esponenti rimarcano che sulla demolizione di San Siro «si rischia la prossima campagna elettorale». Sala addirittura sta disertando gli spalti, non assisterà oggi alla partita di Champions tra Inter e Slavia Praga e sabato andrà al concerto di Jovanotti invece che al derby Inter-Milan.
A detta di molti spera ancora di spaccare l'asse tra i club e convincere almeno l'Inter ad acquistare il Meazza a 70 milioni per ristrutturarlo, e c'è una diffusa opinione bipartisan che alla fine l'offerta, insieme ad ampie concessioni sul quarto anello, magari non subito ma tra qualche mese, coglierà nel segno. Ieri è tornato alla carica: «Vogliamo sperare che si consideri ancora l'ipotesi di restyling. Qualora le società non accettassero ascolteremo le loro ragioni, certamente ogni nuova iniziativa deve tener conto del verde e della valorizzazione dei servizi sull'area. Non voglio creare difficoltà alle squadre ma tutelare il nostro patrimonio. Se il Consiglio dicesse no al nuovo stadio sarebbe un problema», perchè la giunta spera di poter avviare una trattativa senza che i club si appellino alla legge sugli stadi che concede volumetrie anche oltre lo 0,70.
Il Comune «non ci vuole guadagnare sullo stadio, ci mancherebbe altro» ha ribadito ieri Sala. Ma in una delle ultime richieste di integrazione inviate dagli uffici ai club verrebbe sottolineato che al canone del diritto di superficie pari a 477,9 milioni (5,31 all'anno) per 90 anni potrebbe essere comunque sommato il valore patrimoniale del Meazza. Pressing continuo.
Il capogruppo Filippo Barberis per ora fa da mediatore: domani «porteremo alle squadre una serie di domande su cui vorremmo intavolare il confronto. Poi faremo sintesi e porteremo in aula un ordine del giorno». Il voto finale, ad oggi, è tutt'altro che scontato.
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