Settant'anni non bastano alla sinistra per capire che nelle foibe non furono trucidati biechi fascisti, ma uomini, donne e bambini con l'unica colpa di essere italiani. E che quella dell'Ozna, la crudele polizia segreta titina, fu un'orrenda pulizia etnica. A dimostrarlo è Onorio Rosati, già segretario della Cgil e oggi consigliere del Pd che ieri non ha resistito all'ennesimo deprecabile sfregio ai morti. «In consiglio regionale, giornata del ricordo per le vittime delle foibe. Io non parteciperò». Il motivo? «Vicenda storicamente molto controversa, strumentalizzata dalla destra». Esempio di archeologia vetero comunista di cui si sarebbe fatto volentieri a meno. Perché quelle parole forse Rosati dovrebbe avere il coraggio di dirle, tanto per scegliere un nome, ai familiari di Norma Cossetto la diciassettenne istriana che stava per iscriversi all'università di Padova e fu catturata a Visinada (oggi Croazia) da partigiani titini e italiani per essere legata a un tavolo e violentata per tutta la notte da diciassette di loro. E poi con un bastone di legno. La mattina dopo altri strupri sull'orlo della foiba di villa Surani dove Norma Cossetto fu gettata. Legata col fil di ferro agli altri prigionieri.
L'assessore Viviana Beccalossi ha invitato Rosati a «chiedere scusa, visto il suo dovere istituzionale di partecipare o comunque di rispettare una Giornata istituita per legge. L'Italia non può avere morti di serie A e di serie B». Immediato il rifiuto di Rosati, perché le foibe sarebbero «vicenda storicamente molto controversa, strumentalizzata dalla destra italiana neofascista». Dalla Lega è Massimiliano Romeo a dire che «le dichiarazioni di Rosati sono gravi e imperdonabili, l'ennesimo tentativo di nascondere la verità e di disconoscere la gravità dei massacri della dittatura comunista». Per Carlo Fidanza (Fdi), Rosati da ex capo della Cgil ricorda «il vile comportamento di quei sindacalisti rossi che il 18 febbraio 1947 assalirono a sassate un treno di profughi istriani alla stazione di Bologna, impedendo alla Croce Rossa di soccorrere chi, stremato dopo giorni di viaggio, cercava aiuto dalla madrepatria». Nessuna censura di Rosati dai vertici, nonostante il consigliere di Fi Gianluca Comazzi chiedesse che la «segreteria Pd si dissoci dalle sue parole o sarà complice di questa vergogna». Il segretario metropolitano del Pd Pietro Bussolati, infatti, non nomina Rosati, ma dice che «nessuno all'interno del Pd si deve permettere di fare distinzioni fra le vittime da commemorare. Erano bambini, ragazzi, donne e uomini prima di tutto e meritano la nostra riflessione e il nostro cordoglio». Perché se a fare male sono state le torture e gli infoibamenti dei partigiani titini, a essere ancor più dolorosa per gli esuli istriani e dalmati è stata la negazione di un dramma che ha contato oltre 30mila morti e decine di migliaia di esuli destinati a una tragedia cominciata nel Dopoguerra e proseguita, come ha dimostrato Rosati, fino ai nostri giorni.
E di questo si è purtroppo fatto complice anche il sindaco Giuliano Pisapia che anche quest'anno non ha trovato il tempo per indossare la fascia tricolore e render loro omaggio, facendosi sostituire dall'assessore Carmela Rozza. L'anno scorso la scusa fu un inutile convegno sul traffico, quest'anno nemmeno lo sforzo per trovare una qualche giustificazione. Per i morti istriani e dalmati non c'è tempo. Solo la «sincera vicinanza e solidarietà» su Facebook. Un po' poco. Auspicando tra le polemiche «quel composto silenzio che dovrebbe accompagnare una giornata di commemorazione». Peccato che altrettanto silenzio non sia chiesto da Pisapia in occasione dell'omaggio ad altri morti. Forse di serie A. E del resto non c'è da stupirsi visto che l'11 febbraio 2004, quando il parlamento istituì per legge la Giornata del ricordo con 502 voti favorevoli, tra i soli 15 contrari c'erano proprio quelli di Pisapia, allora deputato di Rifondazione comunista e del suo sodale Nichi Vendola. In compagnia di gente presto spazzata via dalla storia come Armando e la figlia Maura Cossutta (il comunismo familiare), Oliviero Diliberto e Marco Rizzo. Almeno Fausto Bertinotti non votò.
E ieri il vice presidente del consiglio comunale Riccardo De Corato, rimproverandogli di aver «disertato la cerimonia in largo Martiri delle Foibe quest'anno e lo scorso», ha invitato Pisapia ad accogliere «la mozione che chiede di togliere l'onorificenza al
maresciallo Tito». Appuntatagli dall'allora presidente Giuseppe Saragat che lo fece Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Con l'aggiunta del Gran cordone, il più alto riconoscimento della Repubblica.
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