Una «malattia dell'Occidente». Nel mondo da cui arriva - Gujranwala, regione agricola del Pakistan - l'omosessualità è più che un tabù: mancano perfino le parole per descriverla. Restano gli stereotipi. Ma la storia di Wajahat Abbas Kazmi (che oggi alla libreria Claudiana presenta il libro scritto con Michele Benini ed Elena De Piccoli) non è una fuga. Semmai è la storia di una battaglia, aperta e coraggiosa.
«Allah loves equality»?
«Sì, è una campagna, un documentario girato in Pakistan e un libro che racconta quel viaggio. Questa campagna nasce dall'idea di aprire l'argomento e rompere il ghiaccio sul tema dell'omosessualità».
Qual è la sua storia?
«La mia è una famiglia pakistana, credente e praticante, di fede sciita. L'idea di questa campagna è maturata dopo il coming out in famiglia. Il mio obiettivo è aprire un dialogo. Bisogna pensare che, nella nostra realtà, già usare la parola gay è un problema. Noi non abbiamo neanche le parole. Viene visto come un termine creato dall'occidente, come una malattia che viene nell'Occidente. Per noi è difficilissimo, c'è questo stereotipo».
Dove ha trovato la forza e gli strumenti per esporsi?
«C'è una lunga strada dietro. A 18 anni c'è stato il fidanzamento con mia cugina, per 7 anni. Sei mesi prima del matrimonio ho fatto coming out. Io non avevo esempi, ero cresciuto vedendo gli altri che alla fine si sposavano con una donna. E bisogna pensare che per gli uomini è più semplice».
Per le donne è più dura?
«Ci sono problemi ulteriori. Gli uomini possono uscire incontrare gli altri, dialogare. Io sono un regista, ho potuto conoscere il mondo, lavorare con Amnesty, usare i social, entrare nel campo dell'attivismo, piano-piano sono arrivati il coraggio e la consapevolezza. Certo è stata difficile. Allora pensavo: cosa farò? L'idea di dormire nel letto con quella ragazza mi sembrava un incubo. E non si trattava di dieci minuti o di una settimana, ma di una vita. E non puoi prendere in giro una persona per una vita intera. Lei avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa, povera lei. Io invece avrei avuto occasione di fare la mia vita».
Questo fidanzamento è avvenuto in Italia. È normale che avvengano cose simili?
«I miei, quando ho fatto coming out, dicevano: Fai ciò che vuoi ma sposati, fai un figlio, al resto pensiamo noi. Il suocero lo stesso: Ti aiutiamo noi col lavoro. Ti dicono: il rispetto della tua famiglia è tutto nelle tue mani».
Lei si è impegnato per la verità su Sana, la ragazza uccisa in Pakistan per aver detto no alla logica del clan.
«Sì, la notizia in Pakistan l'abbiamo data noi con la nostra campagna. Mi hanno minacciato: Stai sporcando il nome dei pakistani!, ma io ero sicuro che se non avessi parlato la cosa sarebbe stata chiusa. Io conoscevo anche Hina Saleem, non eravamo amici ma la ricordo bene in città. L'ho vista anche tre giorni prima che la uccidessero».
Lei da quante tempo vive in Italia?
«Da quando avevo 15 anni. Mio padre era un migrante per ragioni economiche: io non sono un rifugiato Lgbt. A Brescia vive la comunità pakistana più numerosa d'Italia. Spesso arrivano da zone rurali, dove la mentalità prevalente è chiusa. Spesso non conoscono neanche il Pakistan. Anche nel caso di Sana, è accaduto in Pakistan forse perché qualcuno pensava a quella realtà locale, ma anche il Pakistan sta cambiando e non conoscono la potenza dei media e della giustizia. E quando abbiamo chiesto la verità per Sana, ci hanno sostenuti dal Pakistan più che da Brescia».
Ma il problema sono i retaggi tribali o la religione?
«Il problema è l'ignoranza culturale. Non hanno certo visto il mondo. È una mentalità molto profonda, molto chiusa. Nei matrimoni combinati ti chiudono da quattro parti, ti bloccano. Poi si vive insieme e finché non sei indipendente, se stai lì non hai scelta».
Islam e Omosessualità. Lei ha trovato una via d'uscita tutta sua o si può essere davvero gay e musulmani?
«In realtà
non c'è mai stata una battaglia fra me e Allah. A volte con le persone sì, ma mai con Allah. Nel Corano non c'è una condanna, e poi ci sono le interpretazioni. Ma manca lo studio. Il sesso è tabù, non solo l'omosessualità».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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