Per la strage in Tribunale paga solo la guardia. E i vertici se la cavano

Piazza si prende tutta la colpa delle falle nella sicurezza del Palazzo di giustizia

Per la strage in Tribunale paga solo la guardia. E i vertici se la cavano

Insomma: se un tizio riesce a portare una calibro 9 dentro il tribunale di Milano, andare in un'aula, ammazzare due persone, scendere di un piano ed ucciderne un'altra, per poi uscire indisturbato, la colpa è solo della guardia giurata che quella mattina era di turno all'ingresso di via San Barnaba, e non si accorse che il tizio portava con sé la pistola: ammesso che davvero la pistola fosse nella valigetta, e non imboscata da tempo in qualche anfratto del palazzo di giustizia. Altre colpe non ce ne furono. Come se la sicurezza del tribunale non fosse tra i doveri di una lunga serie di cariche eccellenti.

Ieri Roberto Piazza, il vigilante in servizio all'ingresso posteriore del tribunale il 9 aprile 2015, è stato condannato a tre anni di carcere per omicidio colposo plurimo. Fu colpa sua, dice la sentenza della Corte d'appello di Brescia, se quella mattina l'imprenditore fallito Claudio Giardiello poté trasformare l'aula della seconda sezione penale in un mattatoio. Lorenzo Claris Appiani, giovane e brillante avvocato che aveva la colpa di avere rinunciato al mandato difensivo, morì sul colpo. Giorgio Erba, ex socio di Giardiello, fu portato in ospedale quando - dopo un'attesa interminabile - le ambulanze arrivarono al terzo piano: vi giunse cadavere. Nel frattempo Giardiello era sceso di un piano e aveva ucciso il giudice Fernando Ciampi: la ferita era così nascosta che per lunghi minuti, dopo il ritrovamento del corpo, si disse che il giudice era morto di paura.

Giardiello fuggì in scooter, e venne condannato all'ergastolo. Ma fu chiaro da subito che la sua feroce impresa e la incredibile facilità con cui fu realizzata chiamavano in causa l'intero sistema di sicurezza del palazzo: e pochi giorni dopo, rispondendo a una interrogazione, il ministro della Giustizia rese noto che la Procura di Brescia aveva aperto una inchiesta per omissione di atti d'ufficio. Ma quella inchiesta è finita presto su un binario morto, e così pure i tentativi dei familiari delle vittime di chiamare in causa i vertici del ministero della Giustizia, degli uffici giudiziari milanesi e del Comune, ovvero la complessa macchina burocratica che sovrintende alla sicurezza del tribunale. Oggi a Brescia esiste un'inchiesta bis, affidata a due pm del pool che si occupa di sicurezza sul lavoro, ma per ora a carico di ignoti. La causa dei familiari contro Comune e ministero va avanti solo in sede civile.

Eppure la prova migliore della inadeguatezza, all'epoca della strage, dei sistemi di sicurezza l'ha data recentemente la stessa magistratura milanese, che ha varato un imponente piano di rafforzamento delle misure: centinaia di telecamere in tutti i corridoi, telecamere nelle aule, pulsanti di allarme, una control room per monitorare in tempo reale quanto accade.

Tutte misure che, se fossero state in funzione nell'aprile del 2015, avrebbero reso ben più arduo per Giardiello portare a compimento il suo piano.

Invece a pagare è solo il metronotte Piazza: contro il quale, non a caso, i genitori dell'avvocato Claris Appiani avevano rinunciato a ogni pretesa.

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