Il tribunale rischia il collasso per i ricorsi degli immigrati

Boom di impugnazioni: sono 400 al mese nel 2016 Così i richiedenti asilo bocciati bloccano la giustizia

Il tribunale rischia il collasso per i ricorsi degli immigrati

La previsione non è difficile: la cosiddetta emergenza profughi - che ormai sarebbe meglio chiamare situazione ordinaria - è destinata a peggiorare nei mesi estivi. E l'onda lunga del fenomeno arriva in Tribunale. Se respinti dalla Commissione territoriale della Prefettura infatti, gli stranieri richiedenti asilo possono fare ricorso alla Corte di primo grado. E poi, in caso di esito ancora negativo, in corte d'Appello e in Cassazione. Negli ultimi mesi la crescita delle domande al Tribunale è stata esponenziale. Tanto che il sistema sfiora il collasso. L'escalation: 636 istanze nel 2014, 1.679 nel 2015, di cui 964 solo da ottobre. Nei primi due mesi del 2016 ne sono arrivate ben 807, circa 400 al mese. Che nel periodo estivo appunto promettono di salire ancora, visto il fisiologico incremento stagionale dei flussi. Il calcolo preventivo per l'intero anno arriva a 4mila ricorsi di persone che chiedono lo status di rifugiato, con un exploit del 140 per cento in dodici mesi.

Il presidente del Tribunale Roberto Bichi cerca di fronteggiare l'emergenza. Da tutte le sezioni sono stati applicati 12 giudici, che si dividono tra le udienze ordinarie e quelle della sezione competente per i richiedenti asilo (la Prima civile). Questi magistrati «di supporto» si aggiungono agli otto della Prima, a quello extradistrettuale inviato dal Csm e ai dieci giudici onorari. «Si tratta di provvedimenti emergenziali - spiega Bichi -, che non possono certo diventare strutturali. Sono necessarie, e sono allo studio, iniziative a livello legislativo che spero saranno realistiche e soprattutto adeguate, anche con nuovi mezzi e risorse di personale, alla gravità della situazione».

Una forma di tutela giuridica per i profughi dovrà necessariamente restare. Gli strumenti con cui le istituzioni rispondono all'ondata di domande di chi aspira a tale condizione giuridica però mostrano la corda. Sono stati infatti cuciti su una casistica sporadica. La procedura pensata per il richiedente singolo, con quattro gradi di valutazione dell'istanza - previsti solo in Italia - non riesce più a far fronte al fenomeno. Un altro nodo critico riguarda i tempi. La legge prevede un massimo di sei mesi per ogni grado di giudizio. Il Tribunale è finora riuscito a rispettare il termine per il primo grado, accogliendo poco più del 20 per cento delle richieste (anche se il dato risale a qualche tempo fa). Ma il periodo totale per la decisione, se si arriva fino in Cassazione e visti i numeri, è destinato a dilatarsi. E il richiedente a rimanere nel «limbo» per un tempo che va da un anno e mezzo fino a tre anni.

In corte d'Appello le cose non vanno certo meglio rispetto al Tribunale. Anche qui i magistrati sono in serio affanno. Nei primi quattro mesi dell'anno alla sezione competente (la Minori, persone e famiglia che ha un organico di sette toghe) sono approdate 270 citazioni. Hanno già superato quelle arrivate nell'intero 2015, quando erano state 225, e a fine anno potrebbero sfiorare il migliaio. Un picco che desta grande preoccupazione alla Corte e crea grosse difficoltà: «La prefettura ci ha avvertito che i flussi saranno ancora più ingenti nel prossimo futuro», spiegano. A luglio sono state fissate ben 85 udienze ed è stata avanzata l'ipotesi di riempire anche il calendario di agosto. L'urgenza dei procedimenti è evidente per tutti, ma è inevitabile che i tempi di definizione dei procedimenti si dilatino. Praticamente tutti gli immigrati respinti in primo grado presentano appello. E le applicazioni decise da Bichi, se da una parte stanno velocizzando i tempi in Tribunali, dall'altra rischiano di ingolfare le aule del secondo grado. Dove serve ormai oltre un anno per avere una sentenza.

Gli stranieri che chiedono di essere dichiarati rifugiati non possono essere espulsi, ma non possono neppure lavorare.

I ritardi dell'iter giudiziario quindi portano pure un inevitabile aggravio dei costi a carico dello Stato, tra le spese per il gratuito patrocinio legale e i 37,5 euro giornalieri (erogati ai centri d'accoglienza) cui i migranti in attesa del responso hanno diritto.

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