Chiara Giannini
Gibuti
C' è un lembo di terra, nel Corno d'Africa, più piccolo della Lombardia, che sta suscitando l'interesse dei Paesi orientali e occidentali. Gibuti, Stato che nel 1977 ha raggiunto l'indipendenza e che quello stesso anno ha visto riorganizzarsi i francesi, che tutt'oggi hanno una base, dopo lo spostamento della legione straniera e, a seguire, quello degli americani nel 2002 e, quindi, dei giapponesi, dei cinesi e degli italiani che dal 2014 hanno, vicino all'aeroporto, una base che può ospitare fino a 300 persone, ma che attualmente ne conta circa 140, di cui 90 di Esercito, Marina e Aeronautica e una cinquantina di carabinieri impegnati nell'addestramento dei somali.
È un Paese fatto di contraddizioni, con da una parte i grandi investimenti portuali delle grandi potenze quali la Cina, che in pochi mesi ha realizzato una ferrovia di mille chilometri che collega Gibuti ad Addis Abeba, dall'altra la povertà più estrema, fatta di piccole baraccopoli in cui la gente vive senza luce né acqua. Un posto in cui vanno a cozzare anche le sfumature polvere della terra brulla con i colori variopinti dei vestiti della gente. Un luogo in cui le contraddizioni si vedono anche nel lusso della zona presidenziale e del lungomare, con ristoranti tipici e yemeniti da una parte e le donne che agli angoli delle strade più degradate vendono il famigerato khatt, un'erba che viene masticata tutto il giorno dai locali e che dà effetti simili a quelli della cocaina, dall'altra. Gli operai delle tante ditte presenti sul posto chiedono il salario e i soldi per il khatt, che a Gibuti è legale, nonostante sia una piaga sociale difficile da estirpare e che è causa di molti incidenti stradali.
A fronte di tutto ciò, però, questo piccolo Stato ha una funzione strategica. Per l'Italia, come per le altre nazioni occidentali, ma anche orientali, è crocevia di traffici e punto di riferimento per le navi in transito da e per l'Europa. È per questo una posizione strategica per l'antipirateria. Ma è anche considerato il luogo che un giorno diventerà la nuova Dubai. Oltre a ciò si aggiunge il fatto che molti dei migranti che prima o poi arrivano in Libia per tentare la traversata passano da Gibuti, sul cui territorio, stando ai dati di Unhcr, vi sono 29.214 rifugiati, suddivisi in quattro campi di accoglienza. Nessuno dei locali, invece, tenta il viaggio, troppo costoso.
Spesso la gente qui non ha neanche i soldi per mangiare o per far curare i figli. Lo spiegano dalla base, in cui operano gli uomini provenienti dal Multinational Cimic Group italiano di Motta di Livenza. «C'è il caso di un bambino - raccontano -, si chiama Mohad e dall'età di due anni ha un'infezione all'occhio non curata, tanto che lo perderà. Il padre non ha mai avuto soldi per farlo operare, per cui stiamo cercando di aiutarlo». Mohad ha 12 anni e studia di giorno in una scuola allestita con mezzi di fortuna da tre sorelle che la gestiscono togliendo dalla strada i bimbi che, poi, la sera tornano a dormire dove capita. Gente senza un lavoro, senza speranze, che difficilmente viene aiutata visto che la maggior parte dei soldi della cooperazione finiscono in Etiopia.
I progetti realizzati a Gibuti dai militari, invece, sono moltissimi, per lo più con l'aiuto di imprese italiane, presenti in loco, ma il cui numero è destinato ad aumentare. C'è un'opera, compiuta quasi fosse un miracolo, dalla Afreco, ditta che fa parte dell'RI group di Trepuzzi, in provincia di Lecce. Si tratta della realizzazione di una scuola in una zona rurale chiesta dalla presidenza della Repubblica. «I nostri operai - spiega il presidente di RI, Salvatore Tafuro - hanno lavorato in condizioni veramente disagiate, anche perché quel luogo era raggiungibile in parte a piedi. Hanno caricato materiali, aiutati anche dai militari e sono stati impegnati per giorni senza quasi neanche l'acqua e un posto dove dormire, ma alla fine abbiamo garantito un risultato di ottima qualità».
La Ri, peraltro, sta per realizzare la sua sede proprio vicino alla base italiana, visto che diversi sono i progetti a cura del Cimic in cui sarà presumibilmente coinvolta. «Ce n'è uno in particolare, spiega il comandante della base, capitano di vascello Liborio Francesco Palombella - che ci è stato richiesto dal sindaco donna di Gibuti. Si tratta della possibile realizzazione del primo parco pubblico per bambini del Paese, il parco Roma, che ci auguriamo possa essere portato a compimento. La presenza italiana, qui, si fa sentire ed è molto apprezzata». Già esistono la rue de Venice e il ponte Italia, simboli dell'impronta avuta negli anni dal nostro Paese. Tra i progetti a cura della base, finanziati dall'ufficio generale di programmazione, pianificazione e bilancio dello Stato Maggiore della Difesa, anche il rifacimento del muro di una scuola a Damerjog, la sistemazione di campi da calcio in varie zone della città e l'acquisto di un ventilatore neonatale.
Ma un punto fondamentale è anche quello che passa per la prevenzione al terrorismo in una terra in cui il rischio attentati è alto. Basti pensare che proprio a Gibuti è stato arrestato di recente il terrorista Chérif «Mente», tra i responsabili dell'attacco a Charlie Hebdo.
Proprio in questo contesto si stanno valutando iniziative, che coinvolgeranno le imprese italiane, volte a soddisfare la crescente richiesta di formazione e addestramento nel campo di prevenzione e contrasto all'estremismo violento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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